E’ giunta l’ora di azzardare pronostici per le presidenziali americane. La mia
scommessa e’ che Bernie Sanders sara’ il candidato democratico. Il risultato
delle quattordici primarie in programma il 3 Marzo – tra le quali spicca quella
della California che eleggera’ 415 delegati alla convenzione democratica –
potra’ dare la luce verde alla candidatura di Bernie, avvantaggiato da un ritocco delle
norme che regolano la “nomination” del candidato democratico. Il traguardo
della “nomination” e’ di 1.990 delegati, m questa volta entra in gioco una
novita’: i 771 superdelegati non potranno votare al primo scrutinio. Nel caso
di mancato vincitore al primo scrutinio, un esito praticamente scontato, la contesa
favorira’ quell’aspirante presidenziale che arrivera’ a Milwaukee, sede della
convenzione, con il piu’ alto numero di delegati conquistati durante la stagione
delle primarie. Al momento attuale, si calcola che Sanders ne abbia tra un quarto e
un terzo. In pratica, tutto dipende dalla possibilita’ che Bernie si presenti alla
convenzione con un bottino di delegati vicino al 50 per cento. Se cosi’ fosse,
la corsa all’investitura democratica sarebbe teoricamente decisa.
In base alle nuove norme, gli stati dove si tengono le primarie assegnano i
loro delegati secondo la percentuale di voti ricevuti, ma solo a quegli aspiranti
che superino il 15 per cento dei voti conteggiati. In altre parole, il fattore decisivo
nelle primarie sara’ la percentuale di voti raccolti dal vincitore e il numero degli
aspiranti che superera’ la soglia necessaria per incamerare delegati. In stati
come la California, dove Sanders e’ fortemente favorito, le sorti della candidatura
dell ex sindaco di New York Bloomerg dipendono dal superamento di quella
soglia. Presentemente, Bloomber e’ al terzo posto nei sondaggi dietro Sanders e
l’ex vicepresidente Biden. Un aspetto intrigante della contesa nelle primarie e’
insomma che mentre un aspirante puo’ assicurarsi un discreto numero di delegati
ottenendo almeno il 15 per cento, un concorrente al disotto di quel limite resta
a secco di delegati. In pratica, piccoli spostamenti di voti possono influenzare decisamente
la corsa alla “nomination”.
Tra gli elementi che sembrano dare via libera a Sanders e’ l’infelice partenza dell’ex
sindaco Bloomberg, proprio nel dibattito di Las Vegas che ha attratto il piu’
vasto pubblico televisivo fino ad oggi. L’esordio di Bloomberg non e’ stato di buon augurio.
Egli doveva aspettarsi di venire preso di mira dagli altri contendenti, ma ha
dimostrato di non essere preparato allo scontro. La concentrazione di fuoco su di lui
ha di fatto rafforzato Sanders. In aggiunta, ha dato una preziosa boccata d’ossigeno
alla senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren, sotto forma di energia dialettica e
contributi elettorali disperatamente necessari per tenere a galla la sua candidatura.
Il terzo incomodo nella contesa e’ l’ex sindaco Pete Buttigieg, che sembra avere
una sola freccia al suo arco, la ripetizione di un avvertimento al partito democratico:
un’eventuale candidatura presidenziale di Sanders o Bloomberg regalerebbe un
secondo mandato a Donald Trump.
E’ ormai da una decade che Bernie Sanders propaga un manifesto politico secondo
cui Wall Street e i suoi miliardari sottraggono ricchezza alla nazione e immiseriscono
la classe media. Bernie e gli attivisti della sinistra sono facile bersaglio alle accuse di
socialismo per il semplice fatto che il “socialismo” non e’ nel dna dell’America.
Paradossalmente, molti aspetti del socialismo moderno esistono negli Stati Uniti, dalla
Social Security di Roosevelt al Medicare di Johnson, ma gli americani non li riconoscono
come tali. Sanders ripone le sue speranze di essere eletto nel contraltare della psicosi
socio-politica che ha portato Trump alla Casa Bianca, la rivolta intensa e stridula di
un movimento assetato di rivalsa contro la “palude” del governo a Washington. Secondo
questa visione del confronto politico in America vince chi e’ sorretto da una
minoranza di esagitati di estrema. C’e’ da chiedersi se una minoranza democratica di
sinistra possa prevalere con Sanders sulla minoranza “right wing” che ha eletto Trump.
Non e’ irrilevante notare che ne’ Trump ne’ Sanders sono uomini di partito, anche se
Trump e’ oggi il “padrone del vapore GOP “ossia repubblicano.
Sono in molti a credere che la sinistra di Sanders non possa prelavere nelle elezioni di
Novembre per una somma di motivi tra cui: l’impropria nomea di socialismo,
l’opposizione dei poteri forti dell’establishment politico e finanziario, lo scarso appoggio
dei neri, l’eta’ e lo stato di salute di Sanders (questi e’ stato equivoco circa la diffusione delle
sue cartelle mediche). Last but not least, la base del trumpismo e’ forte e la sua
candidatura alla rielezione e’ abbondantemente finanziata. Trump ha gia’ imposto
un profondo cambio nelle politiche del Paese, dalla ridotta assistenza sociale alla
politica estera non piu’ collaborativa, dalla conflittualita’ con l’Europa allo smantellamento
di istituzioni e accordi volti ad arrestare il cambiamento climatico. L’interrogativo che sorge
e’ se l’America sia disposta a tollerare una nuova imponente sovversione della struttura sociale
e politica, questa volta in base a principi anti-capitalistici ed a progetti come l’assistenza medica
sotto forma di Medicare for All. In ultima analisi, molto dipendera’ dalla decisione o meno
degli altri contendenti di attaccare a fondo Bernie Sanders, una decisione che servira’
a cristallizzare il comportamento di una massa di democratici di centro. La realta’ e’ che
Bernie e’ il front runner e che dopo l’ultimo dibattito ha sopravanzato Biden di due punti,
portando il distacco a undici punti. Bloomberg, che era in fondo la speranza dei centristi
di disarcionare Sanders, non ha convinto, vuoi per la mancanza di carisma, vuoi per le
accuse di misoginia. In conclusione, sara’ pressocche’ impossibile battere Sanders nella
prossima convenzione.
Vi e’ chi pensa comunque che a Novembre Sanders fara’ la fine di George McGovern che
nel 1972 fu sconfitto da Nixon con 23 punti di percentuale del voto. McGovern pero’ non
perse perche’ troppo a sinistra. Perse perche’ sfidava un presidente in carica con un’economia
in forte espansione. Si fa presto naturalmente a tracciare un parallelo tra la consultazione del
1972 e quella di un possibile confronto Trump-Sanders. Per contro, quel che fa pensare che
Sanders non sara’ un nuovo McGovern e’ il fatto che l’America e’ cambiata e che in particolare
e’ avviata ad avere una maggioranza non bianca, con il concorso delle donne, della gente
di colore, gay e lesbiche. Il populismo economico praticato da McGovern nel 1972 si
indirizzava a cause sociali non ancora mature, come la diseguaglianza economica. E’
una causa che ora si e’ fatta prepotente, connessa al ristagno dei salari in un’economia
abbastanza florida. Resta da vedere se il centro, l’elettorato di colore e le fasce etniche
siano pronti al nuovo populismo economico di Sanders, opposto a quello ultra-conservatore
di Trump. Certo e’ che sara’ una scelta fondamentale per il futuro del partito democratico, ed
in misura maggiore per quello dell’America.