Un richiamo ai corsi e ricorsi di Giambattista Vico non e’ fuori luogo in un’America che e’ sempre piu’ divisa, sul piano nazionale e su quello del partito democratico,
dove alla “rivoluzione” di Bernie Sanders si contrappone ora la “contro
rivoluzione” di Joe Biden. All’indomani del Supermartedi elettorale, lo scenario
vichiano che si profila e’ quello di una spaccatura all’interno del partito democratico
tale da condurre ad una convenzione estremamente combattuta come fu quella del
1968 a Chicago nella quale i giovani seguaci del Senatore Eugene McCarthy si scontrarono
con le forze dell’Establishment schierate con il Vicepresidente Hubert Humphrey.
Lo spettacolo delle violente mischie a Lincoln Park tra polizia e dimostranti non
aiuto’ Humphrey, che venne sconfitto dall’ex vicepresidente Nixon.
Ed ora la storia di un ex vicepresidente in lotta con un senatore progressista si
ripete. Il tumulto di una convenzione profondamente divisa, anche nel
caso in cui uno dei due protagonisti – Joe Biden – dovesse essere sostenuto
da una maggioranza dei delegati, sarebbe tale da incrinare fortemente il
fronte dell’elettorato democratico garantendo la rielezione di Donald Trump.
Al candidato prescelto, Bidden per l’appunto, verrebbero a mancare ancora
una volta quei cinque milioni di voti in stati cruciali – come il Wisconsin, la
Pennsylvania, l’Ohio e il Michigan – che determinano il superamento della soglia
dei 270 voti, la maggioranza richiesta dall’anacronistico Collegio Elettorale
degli Stati Uniti. Da abitudinario della menzogna, Donald Trump si e’
vantato di aver vinto nel 2016 con una “massiccia valanga di voti” del Collegio
Elettorale. Di fatto, prevalse con appena il 56,88 per cento dei voti elettorali
disponibili.
Il timore dei dirigenti del partito democratico e’ dunque che la storia possa
ripetersi nel senso che l’aspirante alla nomination perdente non sia interessato, come
il Sen. McCarthy, a fornire il suo sostegno al candidato presidenziale del partito.
McCarthy esito’ fino all’ultimo prima di appoggiare Humphrey, suo collega al Senato
e concittadino del Minnesota, cambiando il corso della storia americana in forza
della sua spietata opposizione al presidente del suo partito, Lyndon Johnson. Nel
confronto con la situazione dei giorni nostri, va tenuto conto del fatto che oggi le
divergenze piu’ spiccate nel campo democatico sono prevalentemente culturali
e non politiche, come nel 1968 quando l’America era stravolta dalla guerra nel
Vietnam. Politicamente, il partito e’ unito dalla volonta’ di sconfiggere Donald
Trump e di riportare la normalita’ in una nazione sconvolta dal rovinoso populismo
di Trump. Ed e’ appunto questa maggioritaria aspirazione ad un ritorno alla
normalita’ che puntella la candidatura di Joe Biden, un uomo privo di una mente
politica al punto di non pronunciarsi con chiarezza sulle istanze che assillano
le nuove generazioni, dall’assistenza medica con l’intervento dello stato, all’educazione
universitaria sovvenzionata ed a norme tributarie volte ad eliminare la crescente
diseguaglianza ed in modo speciale le detrazioni che favoriscono le grandi aziende e la classe dei miliardari, il tanto deprecato “uno per cento”.
La mediocrita’ della piattaforma elettorale di Joe Biden, specie se confrontata con
il vulcano di proposte sociali ed economiche di Bernie Sanders, non ha rappresentato
un fattore di dissuasione per i democratici moderati. La loro preoccupazione rimane
chiaramente quella di evitare che prevalga un “socialista democratico”, un’innovazione politica che l’America non sembra disposta a digerire. Biden impersona quindi l’ultima
speranza dei moderati, una massa che si e’ sorprendentemente aggregata subito dopo che
due esponenti moderati, Pete Buttigieg e Amy Klobuchar, hanno gettato la spugna
passando a sostenere la candidatura di Joe Biden.
Bernie Sanders peraltro non sembra disposto a mollare. Nei suoi piu’ recenti
messaggi televisivi, anzi, ha contrapposto la sua campagna elettorale a quella di
Biden ed ha invocato una corrispondenza di pensiero con Barack Obama. Le prossime
primarie in Arizona, Florida, Illinois, Ohio e Washigton diranno se il futuro di Bernie e’
irrimediabilmente compromesso al punto da costringerlo al ritiro sulla via della
convenzione di Milwaukee. A Bernie non rimane che sperare che Joe Biden caschi
in qualche disgraziato inciampo tale da far ricredere molti circa le sue presunte
capacita’ taumaturgiche per il centrismo democratico. Molto dipendera’ da quanti
delegati Sanders potra’ assicurarsi nelle prossime settimane. Di certo, saranno
meno del previsto perche’ le primarie del Supermartedi’ rivelano che
l’appoggio dei giovani elettori di Bernie e’ stato inferiore alle aspettative. Malgrado cio’,
Sanders continua a godere di notevole popolarita’ tra molti democratici, giovani e ispanici.
Per contro, il fatto nuovo della contesa elettorale e’ la rapidita’ con cui gli elettori
moderati si sono saldati nelle file di Biden, particolarmente coloro che hanno deciso
per chi votare all’immediata vigilia delle primarie. Last but not least, il ritiro dell ex
sindaco di New York Bloomberg, un aspirante moderato, gioca decisamente a favore
di Biden. Resta il fatto che Sanders ha ancora frecce al suo arco negli stati dell’ovest,
in particolare nella California.
La teoria dei corsi e ricorsi chiama in causa il comportamento di Bernie Sanders e
la strategia che egli intende perseguire nei mesi precedenti la convenzione. Non
pochi osservatori sono pessimisti e qualcuno giunge ad ipotizzare che nessuno dei
due contendenti raggiungera’ il numero necessario di delegati (un’ipotesi che investe Biden),
particolarmente nel caso in cui la senatrice Warren – grande sconfitta anche nel suo
stato, il Massachusett – dovesse rimanere in corsa per soddisfare le sue ambizioni personali.
In ultima analisi, il verificarsi della teoria vichiana e’ strettamente legato ad un
previsione, che senza l’apporto dei sostenitori di Bernie Sanders il centro moderato non bastera’ a vincere le elezioni presidenziali. La candidatura di Joseph Biden finirebbe insomma per ricalcare il destino di candidati democratici moderati nel nuovo secolo: Al Gore, John Kerry e Hillary Clinton.