UNA DOTTRINA E UN COROLLARIO FUORI DAI TEMPI

E’ lecito supporre che ne’ il Presidente Trump ne’ il Vicepresidente Pence abbiano mai sentito parlare della Dottrina Estrada, adottata formalmente dagli Stati Uniti ed altri Paesi nel 1980. Secondo tale dottrina, il riconoscimento di un governo deve fondarsi sulla sua esistenza de facto piuttosto che sulla sua legittimita’. Fu il Segretario per gli Affari Esteri del Messico, Don Genero Estrada, a proclamarla nel 1930 e da allora ha sancito i principi del non intervento, della risoluzione pacifica delle dispute e dell’auto determinazione per tutte le nazioni. La crisi del Venezuela ha ora portato ad una situazione insostenibile nella quale gli Stati Uniti sembrano inclini ai violare quella dottrina con un ennesimo intervento militare nell’America Latina, osteggiato dal Messico e da altri Paesi che invece invocano una soluzione politica e diplomatica della crisi. In pratica, la Dottrina Estrada articola la posizione secondo cui il Messico non giudica positivamente ne’ negativamente i governi, o i mutamenti di governo in altri Paesi in quanto una tale azione violerebbe il principio di sovranita’. La Dottrina Estrada non ha avuto grande influenza al di fuori del Messico e dei Paesi latino-americani ma la sua enunciazione era allora e resta adesso una reazione ai prepotenti criteri di riconoscimento impiegati dagli Stati Uniti. Il problema e’ che la Dottrina Estrada e’ per molti versi obsoleta. Di fatto, la sua applicazione nel caso del Venezuela e’ quanto mai deficiente e controversa.

La crisi minaccia di essere risolta da un’altra dottrina, che porta il nome di James Monroe, il presidente americano che la enuncio’ nel 1823 nell’intento di sottrarre l’emisfero occidentale agli intrighi e alle interferenze delle potenze europee. La Dottrina Monroe affermava che gli Stati Uniti avrebbero considerato “ostile” ogni eventuale tentativo europeo di opprimere o controllare un qualsiasi Paese dell’emisfero occidentale. La sua enunciazione passo’ praticamente inosservata in Europa finche’ il Presidente Polk non invoco’ la Dottrina Monroe nei confronti di Spagna e Inghilterra che accampavano pretese sul Messico e sulle coste atlantiche. La validita’ della Dottrina Monroe venne infine messa alla prova dal Presidente Theodore Roosevelt. Questi dichiaro’ che qualora si fosse imposto un regime dispotico con conseguente caos in un Paese latino-americano, gli Stati Uniti sarebbero intervenuti per ristabilire l’ordine e la democrazia. Si affermava in tal modo un Corollario Roosevelt alla Dottrina Monroe che doveva passare alla storia come il “big stick” di Teddy Roosevelt. Da allora, non mancano di certo i casi di intervento degli Stati Uniti nell’emisfero occidentale, da Cuba al Panama, da Haiti a Grenada. Tra questi, solo il Panama e Grenada possono classificarsi in una certa misura come interventi riusciti.

Adesso e’ esploso il caso Venezuela, dove il regime di Nicolas Maduro, erede del movimento bolivariano di Hugo Chavez, ha soffocato l’opposizione riducendo alla miseria un Paese che non molto tempo fa vantava una florida economia, sorretta da enormi riserve di petrolio. La rielezione di Maduro manca di legittimita’ ma altrettanto discutibile e’ la proclamazione di una presidenza ad interim del giovane parlamentare Juan Guaido. Gli Stati Uniti hanno immediatamente riconosciuto Guaido come presidente effettivo del Venezuela, insieme con numerosi Paesi latino- americani. I Paesi europei si sono schierati anch’essi con Guaido ma in maniera piu’ sfumata, insistendo su immediate elezioni. Il Messico, non sorprendentemente, si e’ attenuto alla Dottrina Estrada ed ha negato il riconoscimento.

Per gli Stati Uniti si pone insomma il problema se applicare o meno il Corollario Roosevelt con un intervento di forza. Il Venezuela non e’ un Paese del terzo mondo ne’ rientra negli interessi strategici degli Stati Uniti come avviene per Paesi come l’Iran, l’Afghanistan o la Corea del Nord. Il petrolio prodotto dal Venezuela e’ di qualita’ pesante e destinato quasi esclusivamente alla raffinazione negli Stati Uniti. Da qualche tempo pero’ gli Stati Uniti sono indipendenti in materia di energia. La Cina ovviamente e’ interessata al petrolio venezuelano al punto da tenere a galla le disastrate finanze di Caracas.

Gli ultimi sviluppi dimostrano quanto sia difficile imbastire un dialogo diplomatico ai fini di una soluzione negoziata della crisi. I Paesi latino-americani sono divisi e l’organismo emisferico – l’Organizzazione degli Stati Americani – difetta della capacita’ di agire come mediatore. Dal canto suo, Trump ha complicato tale opera con la sua politica avversa ad organizzazioni e intese internazionali. Se da una parte un intervento esterno appare giustificato dalla perdurante prospettiva di una sanguinosa conflittualita’ nel Venezuela tale da sfociare in una guerra civile, dall’altra e’ piu’ che evidente che gli stessi Paesi latino-americani sono contrari ad un’azione militare degli Stati Uniti. La Dottrina Estrada non riscuote consensi unanimi ma il Corollario Roosevelt appartiene anch’esso al passato. Vale invece un vecchio modo di giudicare conflitti interni come quello del Venezuela, quello cioe’ di attendersi che dallo sconvolgente confronto esca un vincitore. Arbitro di questo confronto e’ la leadership militare, che per il momento sostiene ancora Maduro. Alla fine, i militari dovranno scegliere. Tutto lascia pensare che la loro scelta non sara’ per Maduro, che dovra’ rassegnarsi a salire su un aereo diretto a Cuba.

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