L’AMBIVALENZA MADE IN USA

Con l’avvicinarsi delle elezioni del novembre 2020, cresce un sospetto, che il vecchio
detto di James Carville “It’s the economy, stupid” finira’ col rivestire maggior
rilevanza che non il fantomatico impeachment del presidente in carica. Lo stato
dell’economia e’ molto spesso il fattore che piu’ pesa nelle elezioni presidenziali
americane. Ergo, se l’economia dovesse mantenersi ad un alto livello di produzione
e di occupazione, la speranza dei democratici di strappare la Casa Bianca al suo
presente inquilino potrebbe sfumare. Per contro, se l’economia dovesse entrare in
una fase recessiva, e’ molto probabile che gli Stati Uniti avranno un nuovo
presidente nel 2021. Resta il fatto che gli americani sono tra gli elettori piu’
ambivalenti al mondo e che godono di una fama sconcertante, quella di votare
contro i loro interessi, come dimostra la storia del voto negli stati della cosiddetta
Rust Belt. E’ nelle contee rurali che il fenomeno Trump ha attecchito nel 2016
sfruttando il diffuso malcontento e le frustrazioni di un elettorato che non ha esitato
a scaricare le proprie frustazioni sulla globalizzazione ed il neoliberalismo
identificato con la famiglia Clinton.
Per tornare allo stato presente e futuro dell’economia, molti calcoli ruotano attorno
alla guerra delle tariffe, il cavallo di battaglia di un presidente imprevedibile che
agisce in base agli istinti e con assoluta noncuranza per la politica istituzionale e
tradizionale. La scoperta piu’ sconcertante dei rilevamenti demoscopici e’ che un
quarto dell’elettorato ritiene che le tariffe siano nocive al futuro economico del
paese ma di fatto le appoggia. Il sorprendente dato statistico relativo allo scontro in
atto con la Cina e’ che il 31 per cento vede con favore l’inasprimento dei dazi
punitivi nei confronti della Cina ma una percentuale maggiore, il 58 per cento,
approva le tariffe in generale. In particolare, otto americani su dieci ritengono che il
libero commercio crei piu’ lavoro di quanto ne distrugga, senza preoccuparsi del
possibile impatto di tariffe elevate.
E’ innegabile comunque che le indagini demoscopiche riflettono situazioni
complesse nelle quali affiora un quoziente abbastanza alto di consensi per la politica
oltranzista e distruttiva del presidente Trump, una politica che accomuna tra i
nemici dell’America Paesi alleati ed altri con vincoli commerciali anche di vecchia
data. Il 63 per cento degli americani ritiene che la Cina vada punita perche’ per
troppo tempo ha usato il commercio ai danni degli Stati Uniti. Nel caso del Messico,
l’ambivalenza degli americani e’ espressa dal convincimento del 77 per cento che
l’immigrazione legale reca benefici all’economia americana. Per contro, l’82 per
cento e’ schierato contro l’immigrazione illegale. Il sottinteso di tale ambivalenza e’
che Donald Trump trova consensi quando si erige a baluardo dell’economia
americana, meno pero’ quando la sua sfrontatezza comporta danni al benestare
della classe media. Il maggior costo delle automobili tedesche colpirebbe gli
americani in misura certamente minore rispetto alle importazioni di televisori e
elettrodomestici dalla Cina o di prodotti agricoli dal Messico. Questo spiega perche’
il presidente ha messo in atto la sceneggiata dell’imposizione di maggiori dazi nei
confronti del Messico quale rappresaglia per un mancato controllo messicano sulle

orde di profughi dell’Honduras e del Guatemala, quando aveva gia’ in tasca
assicurazioni che lo stato messicano avrebbe provveduto a stringere i freni.
L’altro dramma che grava sul panorama della campagna elettorale e’ quello
dell’ostinato tentativo del pugnace movimento ideologico di promulgare leggi
fortemente restrittive dell’aborto. Anche in questo caso, le statistiche presentano un
quadro ben diverso da quello attribuito alle forze anti-aborto. Tre americani su
quattro vogliono che la decisione Roe vs Wade con cui la Corte Suprema ha
legittimato l’aborto non venga modificata. Certo e’ anche che la maggioranza degli
americani non accetta la legislazione approvata dallo stato dell’Alabama che vieta
l’aborto anche in casi di stupro e incesto e lo ammette soltanto quando sia a rischio
la salute della madre. La questione dell’aborto e’ responsabile di una profonda
spaccatura negli Stati Uniti, che si e’ aggravata da quando parecchi stati del Midwest
e del Sud hanno approvato o introdotto leggi anti-aborto nella speranza che una
Corte Suprema praticamente dominata da giudici conservatori di nomina trumpiana
metta mano alla decisione Roe vs Wade e la annulli o quanto meno la modifichi
drasticamente.
L’aborto e’ il tema elettorale prioritario dei repubblicani, secondo solo
all’immigrazione. Di fatto, aborto e immigrazione sono la leva di cui si serve Trump
per motivare la sua base. Per contro, i democratici fanno leva sui programmi di
salute pubblica, sulle misure contro il cambio del clima e sul benessere finanziario
delle famiglie. Per loro, il tema dell’immigrazione viene a distanza, come quello
dell’aborto. Ma questo non significa che i democratici possono contare
sull’ostinazione dei repubblicani in fatto di aborto senza pagare dazio in ordine alla
propria condotta sullo stesso tema. Lo dimostra il caso dell’ex vice presidente
Joseph Biden che ora viene preso di mira per aver apparentemente cambiato idea in
merito alla possibile assistenza federale agli aborti. In passato, Biden aveva
sottoscritto l’Emendamento Hyde (dal nome del deputato repubblicano Henry Hyde
che lo aveva proposto nel 1976) che vietava l’esborso di fondi federali per aborti
attraverso il programma Medicaid. In una recente manifestazione democratica,
Biden aveva denunciato l’Emendamento Hyde affermando che l’aborto rientrava tra
i diritti all’assistenza medica. A breve giro di tempo un suo portavoce si lasciava
sfuggire la dichiarazione che Biden era ancora favorevole all’Emendamento Hyde.
La questione dell’assistenza federale all’aborto puo’ dunque rivelarsi una mela
avvelenata per i democratici, considerando che la loro condotta si e’ fatta piu’
vigorosa a favore dell’aborto. Vero e’ che una maggioranza degli americani e’
favorevole all’aborto ma stando a recenti sondaggi il 58 per cento e’ contrario
all’assistenza federale con il canale Medicaid. La conseguenza elettorale del zigzag di
Joe Biden e’ che qualora questi dovesse ottenere l’investitura democratica, gli
riuscirebbe piu’ difficile accusare i repubblicani di estremismo in fatto di aborto. In
sostanza, Biden e’ ormai bersaglio di un fuoco incrociato, che da una parte lo attacca
per essere “troppo moderato” (un’accusa che gia’ gli viene mossa dagli esponenti
progressisti del partito democratico) e dall’altra insinua che e’ “troppo vecchio” per
essere eletto presidente. Per concludere, anche in questo caso l’ambivalenza gioca

un ruolo fondamentale nella vita politica degli americani, per quanto possano essere
convinti che l’economia e’ decisiva e che le decisioni congressuali, al pari di quelle
della Corte Suprema, debbano rispettare la dottrina dello stare decidis. Resta il fatto
che Donald Trump ha gia’ smantellato buona parte di quella dottrina anche per
quanto concerne i patti e gli impegni sottoscritti dall’America nel mondo; la sua
rielezione rappresenterebbe il colpo di grazia.

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