Kavanaugh e il degrado della corte suprema

Qualunque sia l’esito finale dell’aspra contesa in atto per la conferma del giudice Brett Kavanaugh alla Corte Suprema, una cosa e’ certa, che la politicizzazione dell’alta corte costituzionale sottrae ad essa gran parte della sua autorita’ morale. Anche in questo, l’America, paragone di democrazia, finisce con rispecchiare il modus operandi della vecchia Europa, dove la nomina dei giudici delle corti costituzionali e’ dettata dai rapporti di forza politici. Le sessioni del comitato giudiziario del senato si sono svolte finora all’insegna di una bellicosita’ partigiana che ha pochi precedenti nella storia parlamentare degli Stati Uniti. Ma il fatto centrale e’ che nell’interrogatorio senatoriale il giudice scelto dal presidente come nono membro a vita della Corte Suprema ha dato prova di scarso ritegno, che bastererebbe ad escluderlo da un incarico che esige imparzialita’, equilibrio e indipendenza di giudizio. Milioni di americani, e non soltanto coloro che si identificano con il partito democratico, non dimenticheranno la sfuriata con cui il giudice Kavanaugh ha accusato i democratici di aver complottato per negargli la conferma della nomina a giudice della Corte Suprema. In particolare, l’aggressivita’ del giudice Kavanaugh ha preso di mira i Clinton accusandoli di essere i mandanti di una vendetta nei suoi confronti, in quanto il giudice repubblicano aveva collaborato a suo tempo con l’inquisitore speciale Starr nella redazione dei capi di impeachment a carico del presidente Clinton.

Ancora piu’ disdicevole nella storia parlamentare e’ il fatto che i membri repubblicani del comitato giudiziario non hanno esitato ad anteporre gli interessi del partito a quelli della nazione. Anche in questo caso, a fare le spese delle convulsioni politiche al Congresso e’ la Corte Suprema, ostaggio di un processo vergognosamente politico che diminuisce la sua autorita’ morale per non parlare del rispetto verso le sue decisioni. Gli antefatti della nomina di Kavanaugh, dei quali poco viene detto o scritto, rappresentano un altro capitolo maleodorante della politica instaurata dalla maggioranza repubblicana al senato, chiamato ad approvare le nomine dei giudici federali e della Corte Suprema. All’indomani della morte del giudice Antonin Scalia nel 2016, il presidente Obama aveva nominato il giudice capo della Corte d’Appello di Washington Merrick Garland, un giurista di impeccabili credenziali, unanimente considerato un moderato, di un’eta’ (63 anni) tale da limitare la sua presenza nell’alta corte. La nomina di Garland era destinata a finire nel dimenticatoio a causa della pervicace strategia del leader estremista del senato, il repubblicano Mitch McConnell, che non perdeva tempo nel dichiarare nulla la nomina, con una affermazione anti-costituzionale e senza precedenti: la conferma di un nuovo giudice della Corte Suprema non poteva avvenire in un’annata elettorale ma spettava al nuovo presidente eletto. La mossa dell’implacabile leader repubblicano era senza precedenti in quanto ignorava totalmente la nomina presidenziale e creava perentoriamente una “vacancy” ossia un seggio vacante. Gli undici membri repubblicani del comitato giudiziario del senato si associavano alla manovra con una lettera in cui proclamavano la loro opposizione alla nomina di Garland. In pratica, la nomina non aveva alcun esito sul piano procedurale ne’ i senatori democratici avevano modo di sbloccarla forzando un voto nel comitato giudiziario.

Vero e’ che McConnell aveva buon gioco nel ricordare una malaugurata uscita del sen. Joe Biden, capo del comitato giudiziario nel 1992. Biden aveva scherzosamente dichiarato che avrebbe suggerito al presidente George W.H Bush di astenersi dal nominare giudici della Corte Suprema fino alla fine della “stagione politica”. L’ostruzionismo del sen. McConnell prese i classici due piccioni con una fava. Primo, blocco’ qualsiasi esame della nomina del giudice Garland, che non venne ricevuto da nessun senatore repubblicano, uno schiaffo procedurale contrario alle tradizioni senatoriali. Secondo, il movente piu’ oltraggioso, quello politico, fu di motivare l’elettorato conservatore al quale in pratica venne promesso che in caso di vittoria del candidato presidenziale repubblicano, la nomina sarebbe andata ad un giudice di forte caratura conservatrice e contrario all’aborto. Il disegno repubblicano e’ andato pertanto a buon fine con la nomina di Brett Kavanaugh, un personaggio di fede conservatrice oltranzista, che aveva partecipato all’operazione del “Florida Recount”, la verifica elettorale omologata dalla Corte Suprema per l’elezione di George W. Bush nel 2000. Kavanaugh sigilla la maggioranza repubblicana alla Corte Suprema che gia’ conta membri oltranzisti come il giudice nero Clarence Thomas, accusato di molestie sessuali ma sopravvissuto per il rotto della cuffia, e l’italo-americano Samuel Alito, un giudice intemperante ed altezzoso, ben noto per aver espresso con il movimento delle labbra la frase “non vero” mentre il presidente Obama esprimeva una critica alla Corte Suprema nel suo messaggio sullo stato dell’unione.

Un aspetto preoccupante per i democratici e’ che Kavanaugh ha solo 53 anni. Una sua lunga permanenza nella Corte Suprema, solidale con valori conservatori, non mancherebbe di scavare un solco ancor piu’ profondo di quello gia’ esistente sullo sfondo delle “culture wars”, le guerre culturali che il partito repubblicano ha intensificato attraverso l’elezione di Donald Trump. Di fatto, i democratici avevano perso la “guerra culturale” piu’ importante, quella per il controllo ideologico della Corte Suprema, quando permisero al leader repubblicano del senato, Mitch McConnell, di eliminare nel 2017 la regola di un “filibuster” ossia dell’ostruzionismo che richiedeva un maggioranza di sessanta voti. Per l’approvazione della nomina di un giudice della Corte Suprema ora basta una maggioranza semplice. In termini pratici, la presente maggioranza repubblicana al senato puo’ approvare la nomina di Kavanaugh, sempre che nessun senatore repubblicano voti contro. Per garantire l’approvazione basta anche che un solo senatore democratico voti a favore, una possibilita’ resa concreta dal timore di almeno due senatori democratici, eletti in stati fortemente pro Trump, di pagar caro un voto contro Kavanaugh. L’errore strategico dei democratici – quello di non combattere contro il rifiuto repubblicano di mettere ai voti la nomina di Garland, usando minacce forti come quella di bloccare i lavori del senato – ha una causale presto detta: i democratici erano sicuri che Hillary Clinton avrebbe vinto l’elezione presidenziale del 2016 nel qual caso avrebbe nominato un giudice piu’ giovane e piu’ “liberal” di Garland.

La conclusione dell’affare Kavanaugh e’ che comunque vada a finire la battaglia in atto, la scelta dei giudici dell’alta corte viene legata a filo doppio alle campagne elettorali dei due partiti, con il risultato che le preferenze del settore prevalente dell’elettorato determinano la filosofia giudiziale della Corte Suprema. In ultima analisi, la selezione dei componenti della Corte Suprema riflette gli estremismi ideologici, il cinismo e l’ipocrisia intellettuale delle forze politiche e li trasmette nella terza branca del governo, quella che tempo addietro aveva avuto il coraggio di adottare decisioni di vasta portata sociale come la sentenza Roe vs Wade per la legittimazione dell’aborto. L’attuale dominio repubblicano della Corte Suprema, avviato a prolungarsi nel tempo, minaccia da vicino persino il principio di Stare Decisis che dovrebbe garantire l’applicazione delle norme concernenti l’aborto. In conclusione, anche gli Stati Uniti, come molti Paesi europei, registrano la trasformazione della corte costituzionale in un organo politico polarizzato e polarizzante. La guerra senza quartiere attorno al nome di un giudice esposto a gravi accuse non si chiudera’ con un risultato accettabile ad entrambi i partiti grazie ad una soluzione negoziata. La Corte Suprema e’ divenuta a tutti gli effetti una componente del sistema politico. E tale rimarra’ per molto tempo ancora.

 

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