Salvador de Bahia. Una melodia indimenticabile

Certe volte, una melodia può portare lontano, come l’immagine di un sogno che non si sbiadisce con gli anni ma che anzi, col tempo, si sublima in un dolce sentimento. Saudade, direbbero i brasiliani, una vaga nostalgia per qualcosa che potrebbe anche non esistere, qualcosa che vive nel passato o che promette di divenire. Per me, Salvador de Bahia era come un tarlo, una visione avuta da ragazzo quando vidi per la prima volta Saludos Amigos, una pellicola con cartoni animati prodotta da Walt Disney agli inizi degli anni quaranta, con intenti fortemente propagandistici per l’America Latina e soprattutto per il Brasile che in quei tempi simpatizzava con la Germania nazista. Fu così che gli americani conobbero la musica brasiliana, e specialmente la brillante composizione di Ary Barroso, quell’Aquarela do Brasil che conteneva una melodia per me indimenticabile, na baixa do sapateiro, dedicata a Salvador de Bahia, la città coloniale benedetta da 157 chiese o giù di lì. “Bahia – canta la canzone – terra de felicidade, morena, eu ando louco de saudade….

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Gli sapateiro erano gli schiavi che producevano scarpe nella parte bassa di Pelourinho, la vecchia città coloniale eretta nella penisola che separa l’Oceano Atlantico dalla Baia de Todos os Santos, scoperta da Amerigo Vespucci nel 1501, proprio il giorno di Ognissanti. Dopo di lui, fu Tomé de Souza che nel 1549 arrivò nella baia con uno stuolo di soldati, coloni, preti e prostitute per fondare l’avanposto dell’impero portoghese nel nuovo mondo, su un’altura fortificabile.
La nuova città veniva fatta capitale e non perdeva tempo nell’arricchirsi con le piantagioni di canna da zucchero, e poi di tabacco, e con l’oro e le pietre preziose estratte dalla Chapada Diamantina. Le ricchezze venivano prodotte da decine di migliaia di schiavi provenienti da varie regioni dell’Africa Occidentale, prevalentemente dalla Nigeria e dall’Angola. In meno di un secolo, gli africani costituirono metà della popolazione. Oggi sono loro che popolano quasi esclusivamente la vecchia comunità di Pelorinho, considerata il centro di colore più popolato al di fuori dell’Africa. Della Pelourinho antica e opulenta, pulsante di vita, di musica e di colori, costellata di chiese barocche di una ricchezza artistica e folklorica che non ha eguali al mondo, restano oggi riti religiosi osservati in una miriade di condomblé, le danze e gli esercizi, come la capoeira, un’arte marziale nata come un rituale di sfida da parte dei negri, manifestazioni tutte della spiritualità e della sete di libertà degli schiavi, dapprima punite e poi tollerate, anche in conseguenza del potere acquisito col tempo dalle comunità di schiavi evasi, dette Quilombos.

Si dice che Salvador abbia tante chiese quante i giorni dell’anno. Non ho avuto modo di verificarlo, ma di una cosa sono convinto, che oggigiorno esiste un numero maggiore di terreiros de candomblé, i luoghi dove si pratica il culto afro-brasiliano che fu per lungo tempo proibito. La repressione ufficiale fu decretata dal dittatore Getulio Vargas negli anni dal 1937 e 1945.
In seguito, il candomblé fu permesso nello stato di Bahia previo concessione di una licenza, come per le case da gioco. La strategia di consolidamento del potere da parte di Vargas portò, paradossalmente, alla promozione di una nuova identità brasiliana fondata, in modo determinante, sulla musica. Fu così che spuntarono motivi come Aquarela do Brasil, composto nel 1939, destinato a divenire un successo internazionale grazie a Walt Disney. Il candomblé infatti non è soltanto una religione, il che già impone rispetto, ma l’espressione di una identità culturale.

I partecipanti al rito perseguono il loro destino individuale, plasmato da una divinità denominata orixa. Le orixás sono i loro predecessori deificati, dei dello spirito che collegano gli esseri umani al mondo spirituale. La personalità di un essere umano non è che un riflesso della sua orixa. Le danze e i canti che si susseguono nella cerimonia del candomblé sono anzi inviti alle orixás ad entrare nel corpo dei fedeli. Non poche volte alcuni dei partecipanti cadono in trance come posseduti dalla divinità. In questo stato, esprimono ed inscenano aspetti della vita della comunità raccolta per il rito. Lo stato di trance finisce quando la divinità lascia il corpo che aveva posseduto.
Ho avuto l’opportunità di vedere uomini e donne nello stato di trance, e non ho dubbio alcuno sulla genuinità dell’avvenimento. Non si può dire che i soggetti siano ossessi o in preda ad uno stato ipnotico; dire che sono posseduti o invasati è invero una forzatura. La spiegazione più sensata è probabilmente che sono compenetrati da qualcosa di inconscio ed irresistibile, con occhi da inebriati dalle pupille roteanti. Quando rinvengono, sorridono beati.

Il candomblé al quale ho assistito si è svolto nel terreiro di una comunità chiamata Pace e Giustizia, in uno dei tanti quartieri poveri di Salvador. La sala in cui si celebrava il rito era relativamente angusta, stipata in ogni ordine di posti, le donne a destra. Su vari palchetti lungo i muri spiccavano divinità africane e santi cattolici, tra i quali Sant’Antonio da Padova, molto venerato in Brasile (non sorprendentemente, in quanto era nato in Portogallo). Il cattolicesimo era stato imposto agli schiavi africani, ai quali non era permesso onorare le loro credenze e pratiche religiose. I proprietari delle piantagioni li costringevano a convertirsi ma gli schiavi convertiti mantenevano segretamente le loro usanze, camuffandole come liturgie cattoliche. Qualcosa resta di quella sconcertante mescolanza religiosa perchè nel corso della cerimonia candomblé ascolto il Padre Nostro e l’Ave Maria in lingua portoghese.

Il ritmo sfrenato di tamburi accompagna danze e movimenti ben coreografati da sacerdoti e sacerdotesse che incarnano Baba Egum. Riti di purificazione si susseguono con la partecipazione di uomini e donne, tutti in vesti bianche, ma quel che colpisce l’osservatore è il fatto che nella fase finale del rito gli uomini indossano un copricapo da esploratore africano e fumano sigari, una tradizione quest’ultima ripresa dagli indigeni locali. Le purificazioni richiamano alla mente la confessione cattolica, ma qui il sacerdote sorridente conforta ed accarezza, come in un atto di benedizione. Nel candomblé non esiste il concetto del bene e del male, ma ogni persona sceglie la orixa alla quale si sente attratto, per riceverne la protezione e liberarsi dalle impurità del mondo esterno. Candomblé significa “danza in onore degli dei”, e la danza è fondamentale per la pratica religiosa. Di fatto, è parte dell’identità culturale dei discendenti degli schiavi, ma in un contesto nazionale è anche l’aspetto più radicato ed eclatante del DNA brasiliano. Basta passare dal terreiro alle strade di Rio e Salvador a Carnevale, pullulanti di una moltitudine di brasiliani posseduti da un’altra divinità, la samba.

Nel cuore di Pelourinho, la scalinata che conduce ad una bella chiesa di stile barocco, la Igreja do Passo, si trasforma in un frenetico teatro di samba ogni martedi, detto il Martes de Bendiciones. Sono venuto qui per assistere ad un concerto di Geronimo, un musicista baiano che si esibisce, gratuitamente, ogni martedi per l’appunto (potete vederlo e ascoltare la sua musica streaming accedendo a Facebook). Su questa scalinata, la Escalera do Passo, resa famosa da un film tratto da un romanzo di Jorge Amado, Geronimo, con tanto di penna sul bianco turbante, attacca con la sua tromba una samba indemoniata che manda in estasi il pubblico in piedi sugli scalini. Nè potrebbero sedersi perchè tutti indistintamente sentono il bisogno di ballare.
Per chi assiste per la prima volta a questo spettacolo, è come se uomini e donne fossero colti tutti da un morbo che li obbliga a muovere gambe e braccia in sintonia. Ognuno balla per se, non per o con altri. Non c’e esibizionismo nè traccia di vanità ma una straordinaria concentrazione nei movimenti. Dire che i brasiliani hanno il ritmo della samba nel sangue non è una battuta. Basta osservarli mentre ballano, stipati sulla scalinata, a contatto di gomiti ma tutti immersi in una ricerca della propria identità attraverso la danza. Ballare però non basta. Praticamente tutti cantano, conoscono tutti i versi delle canzoni, decine e decine di canzoni cantate a squarciagola come in un gran coro disorganizzato ma avvincente per l’accozzaglia melodica di timbri di voce. Mi dicono che se tutti conoscono le parole è perchè crescono cantando quelle canzoni e niente altro, e perchè le canzoni che cantano sono sempre le stesse. Accetto la spiegazione ma la mia ammirazione per l’intensa devozione alla samba trascende il miracolo musicale per rivolgersi ai contenuti culturali del fenomeno.

Salvador ha tenuto a battesimo stili musicali come quello di Olodum, che ha il merito di aver inventato la samba-reggae, una fusione tra due tradizioni. Prima di Olodum, il gruppo degli Ilê Aiyê aveva tratto ispirazione dalle culture Yoruba e Igbo dell’Africa Occidentale. Pelourinho resta un pezzo di Africa trapiantato in Brasile, la sua musica ancor oggi una sfida all’ordine delle cose imposto prima dai coloni portoghesi e secoli dopo dallo Estado Novo del dittatore Vargas.
Il miscuglio di razze, riti religiosi e costumi, impronte musicali e folkloriche, cultura e violenza, fa del Brasile un Paese che conserva una coscienza popolare mentre cerca di realizzare il proprio potenziale. È indubbiamente un Paese che ha un futuro, anche se taluni ancora celiano avvertendo che è da sempre che il Brasile ha un futuro.
Stando alle ultime statistiche, il Brasile ha sopravanzato Italia e Regno Unito attestandosi al sesto posto tra le economie più avanzate, con un prodotto interno lordo che continua a salire prepotentemente. La FIAT, che detiene il primato di produzione di autoveicoli in Brasile, si accinge ad aprire una seconda fabbrica insieme con la sua diretta concorrente, la Wolkswagen, e due costruttori asiatici, la Toyota e la Hyundai. Il Brasile è ormai un polo di esportazione internazionale. Non è più il gigante addormentato ma una realtà produttiva con un ritmo di espansione vertiginoso. Con la produzione di autoveicoli, aumenta quella di bestiame. Sono 220 milioni i capi di bestiame allevati in una nazione che conta 190 milioni di abitanti. Il prodigioso sviluppo non si traduce peraltro in un miglioramento altrettanto marcato della qualità della vita. In questa classifica globale, il Brasile accupa il 73esimo posto, ben al disotto di Paesi latino-americani come il Cile, l’Argentina e persino il Peru. La povertà genera violenza e molti giovani negri disoccupati di Pelourinho sono dediti alle grassazioni ai danni dei turisti.
Ho assistito personalmente ad una rapina proprio sul marciapiede dinanzi alla porta del mio albergo a Pelourinho, vittima un turista tedesco con moglie e figlia. Portava uno zaino a tracolla ed una piccola borsa sul petto, con documenti e denaro. In un attimo, un giovane gli ha strappato la borsa e si è dileguato in un vicolo. Il turista è caduto in terra ed ha riportato una ferita sul viso. Qualche minuto dopo sono giunti due poliziotti, in servizio nella Praca da Sé. Non hanno fatto altro che constatare l’accaduto. Succede abbastanza spesso purtroppo che i turisti vengano rapinati nelle piazze e nelle strade secondarie di Pelourinho. Ma si può evitare di rimanere vittime adottando normali precauzioni. Niente gioielli, macchina fotografica ben protetta, pochi soldi in tasca con una copia del passaporto.

Certamente non nutro alcuna saudade per i rischi del turismo a Salvador ma l’incomparabile visione della chiesa di San Francesco, eretta nel 1587, con una stupenda facciata barocca del 1720 ed all’interno sculture lignee rivestite d’oro zecchino, ha arricchito la mia memoria già predisposta da un altro nostalgico ricordo, quello della baixa do sapateiro. E che dire della Terceira de São Francisco, con l’impressionante facciata di sculture in arenaria in stile barocco plateresco, una delle sette meraviglie del Brasile? O della chiesa Nossa Senhora do Rosário dos Pretos, costruita nel diciottesimo secolo da schiavi e neri liberi, un trionfo del sincretismo baiano, con l’incantevole facciata rococò di colore azzurro? Non posso dimenticare che il pelourinho era una colonna usata per le torture con cui venivano castigati gli schiavi. Ma quelle chiese di un barocco ridondante, quelle casette dalle facciate in pastelli vivaci, quelle viuzze dal minuzioso ciottolato, l’echeggiare di tamburi e ritmi baiani agli angoli di strada, formano un patrimonio riconosciuto dall’UNESCO per la gioia dei sensi di quanti godono del privilegio di fotografare queste ricchezze con le pupille degli occhi, che incidono le immagini nella memoria, l’unica vera macchina fotografica dono della natura. Sono le immagini di una Bahia che vive nel pensiero, come dice il verso di quella baxia do sapateiro che così a lungo mi aveva ossessionato: “O Bahia, Bahia que não me sai do pensamento….”

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