Gli americani che hanno a cuore le sorti della loro democrazia dovrebbero porsi una domanda, se è nell’interesse nazionale rieleggere presidente un uomo che ha stralciato norme costituzionali, tentato di mantenere il potere con una campagna volta a rovesciare il risultato delle elezioni e – come si apprende adesso – celando documenti di stato segreti, dei quali si era appropriato illegalmente ignorando norme
specifiche per la tutela dei segreti di stato. In qualsiasi Paese dove sono in vigore simili norme di tutela, nessun capo di stato può operare come se i segreti di stato fossero di sua unica pertinenza. Come un re francese – Luigi Quattordicesimo che ebbe a dichiarare “lo stato sono io” – Donald Trump ha accentrato i poteri dello stato nella propria persona in quello che passerà alla storia come un moderno tentativo di
instaurare l’equivalente di una monarchia assoluta. In omaggio a questa revisione delle istituzioni nazionali, Trump si è portato a casa vagoni di documenti segreti affermando in parte che erano di sua proprietà oppure che aveva il diritto di conservarli in quanto li aveva “declassificati”.
Non siamo in presenza di semplici menzogne e mistificazioni, ma di violazioni di norme federali
e di leggi concernenti la difesa della sicurezza nazionale approvate nel 1918, nel cosiddetto Sedition Act. Questo fu abrogato nel 1920 ma molte clausole dello Espionage Act originale sono rimaste in vigore. Gli statuti in questione riguardano la raccolta e la disseminazione di informazioni “classificate” o attinenti alla difesa nazionale. L’ormai famoso mandato (“warrant”) invocato per le perquisizioni alla residenza di Trump, Mar-a-Lago, cita una sezione secondo la quale coloro che hanno accesso legale a documenti di difesa nazionale sono soggetti a misure punitive nel caso in cui conservino “impropriamente” tali informazioni. Ed ancora, un altro statuto successivo al Watergate – il Presidential Record Act – dispone che la proprietà legale dei documenti ufficiali passa dal privato al pubblico, in pratica all’Archivista nazionale e quindi al popolo americano. E’ responsabilità del presidente uscente quella di gestire la consegna della documentazione agli archivi nazionali. Donald Trump, nel suo ossessivo impero alla Luigi Quattordicesimo, ha violato le norme in vigore con la tracotanza che è tipica della sua ingordigia di potere.
Quando ha lasciato la Casa Bianca per il suo castello nella Florida, si è portato dietro quindici case di materiale vario. Per tutta risposta alle autorità federali, l’ex presidente si rifiutava di consegnare il materiale classificato ai termini del Presidential Record Act, precipitando la crisi che portava al mandato di perquisizione ed al sequestro, operato dallo FBI, di undici gruppi di documenti, quattro dei quali “top secret”, tre “secret”, tre “confidential” ed infine uno classificato TS/SCI, tale cioè da essere letto in una stanza segreta da funzionari di alto livello. Si tratta insomma di una violazione che notoriamente le autorità non mancano di perseguire con estrema rigidezza. Storicamente, lo Espionage Act è al centro di un incessante conflitto tra la libera stampa ed il governo federale. E’ rimasto famoso il caso di Daniel Ellsberg che fu processato nel 1973 per aver reso di pubblico dominio 7.000 pagine di documenti relativi
alla guerra nel Vietnam. Ellsberg fu condannato ad una pena di 115 anni che venne però cancellata in quanto l’accusa federale si fondava su un tentativo illecito di raccogliere prove a suo carico.
La difesa di Donald Trump si affida al noto modus operandi della menzogna su vasta scala. Ad esempio, un documento presentato nel mese di giugno sosteneva che tutto il materiale classificato era stato restituito. Nulla del genere si era verificato. Tra le tante falsificazioni di Trump vale la pena di citare l’affermazione che l’ex presidente Obama aveva trattenuto documenti classificati, oltre a quella che egli stesso aveva “declassificato” o desecretato tutti i documenti in suo possesso. Gli ultimi sviluppi hanno certamente dischiuso la reale possibilità di un rinvio a giudizio dell’ex presidente ai termini dello Espionage Act e di altri statuti federali. Di fatto, siamo comunque agli inizi di uno scontro titanico tra il Dipartimento della Giustizia e lo stuolo di avvocati di Trump, per non parlare di fanatici esponenti repubblicani che accusano l’Attorney General di agire come la Gestapo. Molti sospettano che non passerà molto tempo prima che vengano alla luce ulteriori malversazioni di Donald Trump e probabilmente anche prove di “ostruzione della giustizia”, alla quale accenna un passaggio dell’affidavit delle autorità federali. L’ex presidente non è sotto accusa per potenziali reati ma il Dipartimento della Giustizia ha fatto capire che non mancheranno di emergere le prove raccolte a Mar-a-Lago. Non resta che chiedersi se quegli americani che accettano di vivere in uno stato di diritto andranno alle urne con la convizione che un ex presidente capace di ignorare le leggi e la costituzione non è degno di ripresentarsi alla massima magistratura. Certo è che dopo i fatti di Mar-a-Lago l’America sembra essersi messa sulla strada giusta.