L’America è vicina ad una svolta, quella del rinvio a giudizio di un presidente. Il capo d’accusa in fieri, senza precedenti nella storia americana, è quello di aver ordito e incitato un colpo di stato
in prossimità del Congresso. Realisticamente, è proprio la gravità di questa accusa che frena l’autorità federale che dovrebbe procedere ad una imputazione presso la magistratura federale e propriamente su iniziativa dell’Attorney General. Donald Trump è sfuggito a due procedimenti a suo carico svoltisi nel Senato attraverso la procedura di impeachment, che non hanno ottenuto la maggioranza dei
voti a motivo dell’opposizione dei senatori repubblicani. Un giudizio della magistratura, sempre che si giunga ad esso, sarebbe cosa ben diversa, con conseguenze catastrofiche per l’ex presidente, quanto meno negli annali della storia nazionale.
Le accuse sollevate in seno alla commissione speciale della Camera dei Rappresentanti sono molteplici, pesanti e documentate dalle testimonianze di membri dell’esecutivo ed in modo speciale
di funzionari della Casa Bianca tra i quali lo stesso Consigliere legale del Presidente.
Quali sono dunque i capi di accusa? Primo, il 6 gennaio 2021 l’America ed il mondo hanno assistito in presa televisiva diretta all’azione di incitamento alla violenza da parte del presidente ed al suo rifiuto di
inviare al Campidoglio le forze dell’ordine per porre fine all’insurrezione che egli aveva messo in moto; secondo, Trump ha posto in dubbio e condannato il funzionamento del processo elettorale, alimentando
l’azione eversiva di movimenti impegnati in complotti ai danni delle istituzioni; terzo, l’incitamento alla violenza è da considerarsi criminoso per il fatto che Trump sapeva che nella massa dei
rivoltosi circolavano armi. Nonostante ciò, incoraggiava la violenza, al punto che il suo vicepresidente Pence veniva a trovarsi in una situazione di grave pericolo. Altrettanto grave è il fatto che il presidente repubblicano ignorava il drammatico appello di vari leader del partito, dei capi della polizia e di
membri della sua stessa famiglia che lo supplicavano di mettere fine al sollevamento in atto negli edifici del Congresso. In sintesi, Donald Trump si rifiutava di impartire ordini precisi al fine di porre fine al sollevamento in quanto questo rientrava in un preciso disegno di attuare un vero e proprio colpo di stato. Il comizio in grande scala nel prato dell’Ellisse antistante la Casa Bianca rappresentava di fatto il coronamento di un piano elaborato nel corso di settimane volto a ribaltare il legittimo risultato delle
elezioni presidenziali di novembre.
Questa è la realtà dei fatti accertati dalla commissione parlamentare di inchiesta. E’ ancora presto per annunciare rilevamenti circa le reazioni dell’opinione pubblica anche se tutto lascia pensare
che non si verificheranno mutazioni politiche stante il profondo vallo politico in America. Qualcosa eppur si muove dopo le sessioni trasmesse dalle reti televisive, che hanno fornito un’ampia copertura “live”, fatta eccezione comunque per la catena trumpiana Fox. Un gran numero di ascoltatori, ed in misura significativa di elettori indipendenti, hanno assorbito le rivelazioni emerse nell’aula della Camera dove si sta svolgendo l’inchiesta, destinata a protrarsi nell’autunno. Il peso dell’inchiesta è destinato a variare in misura drammatica all’indomani delle elezioni midterm del prossimo novembre. Nel caso di riconquista della Camera da parte dei repubblicani (bastano cinque voti in più), l’operato della Commissione verrebbe annullato con espedienti procedurali. Resta il fatto però che non potrà essere cancellata la documentazione messa agli atti, più che sufficiente a provare il tentativo di colpo di stato ordito dal presidente sconfitto. Quanto meno, una maggioranza di americani, esile ma pur sempre una maggioranza, prenderà posizione contro l’impiego della violenza politica al quale ha fatto ricorso Donald Trump con il sostegno di una massa di facinorosi MAGA.
C’è sempre tempo per una decisione dell’ Attorney General Merrick Garland di istruire un procedimento
giudiziario sulle responsabilità dei fatti del 6 gennaio, un procedimento che coinvolgerebbe, oltre a Trump, numerosi personaggi che pianificarono il colpo di stato (si pensi, tra gli altri, a Rudolph Giuliani).
Molti dubitano che si giungerà a tanto, stante anche il fatto che l’Attorney General si è finora mosso con estrema cautela. Non vi è dubbio che la sua cautela, che molti ritengono eccessiva, sia dovuta al
timore che il rinvio a giudizio di un ex presidente potrebbe stabilire un pericoloso precedente e consentire ad una futura amministrazione di criminalizzare uno scontro politico. Un altro elemento che turba il corso delle indagini al Congresso ed in seno al Dipartimento della Giustizia va ricondotto all’intenzione informale dell’ex presidente di ripresentarsi candidato alle elezioni presidenziali del 2024. Un deferimento dell’Attorney General a carico del candidato presidenziale di un partito sarebbe non soltanto cosa rara ma difficilmente praticabile. Dal comportamento del presidente in carica Joe Biden risulta anche evidente che questi ha deciso di non politicizzare quella che considera un’inchiesta indipendente sui fatti del 6 gennaio. La ragione va ricercata nella strategia di spuntare le accuse repubblicane secondo cui l’inchiesta della Camera non è altro che un esercizio partigiano. Va tenuto conto inoltre del fatto che Biden è attualmente in una posizione di debolezza a motivo dell’inflazione imperversante che domina il dialogo politico. Tutto ciò non incide comunque sul fatto che l’inchiesta parlamentare sta avendo un effetto ai danni dell’immagine di Donald Trump il quale non fa altro che rivangare fatti e misfatti della scorsa elezione presidenziale che ormai sembrano aver stancato molti tra gli stessi elettori repubblicani. In breve, Donald Trump sta diventando anche tra
loro una figura irrilevante, come afferma il Rappresentante repubblicano Adam Kinzinger, che è da tempo la nemesi di Trump in seno alla commissione. Per finire, va segnalato un altro esplosivo capo d’accusa potenziale a carico dell’ex presidente, l’indagine di un procuratore di stato della Georgia, Fanny Willis di Atlanta, in ordine al tentativo di Trump di ribaltare il risultato elettorale a lui sfavorevole in quello stato. La
Willis sta metodicamente costruendo un’inchiesta giudiziaria a carico non solo di Trump ma di un nucleo di suoi subalterni e sostenitori ritenuti responsabili di aver organizzato un complotto mirato a commettere frodi elettorali. Come tutti sanno, Trump telefonò al Segretario di Stato della Georgia Brad Raffensperger
implorandolo a trovare 11.780 voti necessari per rovesciare l’esito sfavorevole dell’elezione nello stato. La strategia del procuratore di stato è soprendentemente anomala in quanto invoca una legge adottata in passato per debellare i crimini della mafia, il Racketeer Act, che punisce la corruzione di imprese e gruppi di individui. Tutto lascia pensare che anche in questo senso ne vedremo delle belle nella Georgia.
grazie Marino, sono convinta dalle tue parole, Giovanna
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