L’America e la disperata difesa dello stato del diritto

L’indagine condotta dal comitato della Camera dei Rappresentanti sull’insurrezione del 6 gennaio passerà alla storia alla stregua della famosa inchiesta Watergate, ma mentre questa portò alle dimissioni
di un presidente, quella in corso rischia di essere formalmente cancellata nel caso in cui il partito repubblicano dovesse riconquistare il controllo della Camera. Tale e tanta è infatti la protervia di un
presidente, Donald Trump, che non solo non ha mai ammesso nè ammetterá di aver perso le elezioni, ma che impone alla massa dei suoi seguaci di sostenere la sua denuncia, completamente infondata,
di brogli elettorali. Dall’indagine parlamentare sono emersi fatti che rivelano quanto l’operato di Donald Trump sia andato molto vicino alla soppressione dello stato di diritto in America. Non si
può infatti descrivere in altro modo il tentativo di Trump di usurpare il suo potere presidenziale al fine di conservare la presidenza calpestando ogni norma e tradizione costituzionale come quella
che regola il pacifico trapasso del poteri. Il lettore itlaiano è certamente interessato, meglio dire stupefatto, da una delle denunce di corruzione elettorale sospinte dagli uomini di Trump, quella secondo cui un’azienda italiana, che alcuni hanno identificato con la Leonardo, avrebbe perpetrato l’hacking di un
satellite per annullare un ampio conteggio dei voti per Trump riversandoli a favore di Biden. Quando il Dipartimento della Difesa definiva “assurda” una tale teoria satellitare, il capo dello staff
della Casa Bianca, Mark Meadows, esortava il Segretario alla Difesa Christopher Miller a dare seguito a questa denuncia. Miller contattava l’ambasciata americana a Roma nella persona dell’addetto militare.
Interrogato in merito dalla commissione d’inchiesta, Miller rispondeva con la massima chiarezza, con queste testuali parole: “Chiamare l’addetto militare a Roma per capire quanto stava succedendo? Stavo ricevendo tutti questi messaggi pazzeschi ma certamente la persona sul luogo ne sapeva di più”. La testimonianza di Miller è oggi agli atti sotto forma di video. Il capo del Pentagono non era il solo a ridicolizzare la teoria satellitare. Insieme a lui, alti funzionari del Pentagono smentivano il presidente e smontavano le sue teorie. Il presidente Trump era crescentemente disperato. Con l’apporto di personaggi repubblicani del Congresso, di membri dello staff della Casa Bianca come il soprannominato Mark Meadows, e tutti i caporioni del GOP (il partito repubblicano) Trump imbastiva una strategia che si articolava in questi punti: una campagna di disinformazione incentrata sulla “big lie”, la grande bugia dell’elezione corrotta; lo sforzo incessante di silurare il facente funzione di Attorney General e di installare al suo posto la modesta figura di un partigiano nello staff legale del Dipartimento della Giustizia con il campito di lanciare un’indagine ufficiale sui fantomatici brogli elettorali; una campagna personale di intimidazione sul vice presidente Pence affinchè rifiutasse di omologare gli attestati dei grandi elettori degli stati durante la sessione finale del Collegio Elettorale, sostituendo alle certificazioni previste dall’ordinamento costituzionale liste adulterate di grandi elettori fedeli a Trump; un’offensiva spietata sugli istituti elettorali degli stati perchè sottoponessero le liste di grandi elettori creati artificiosamente dal nulla; ed infine, la convocazione per il 6 gennaio di bande di violenti sostenitori per un’azione volta ad arrestare il procedimento di omologazione del voto in corso al Congresso. Le bande armate con mazze ed altri strumenti contundenti penetravano nel recinto del Campidoglio senza che Trump dicesse una sola parola per indurli ad abbandonare il terreno di scontro con la polizia, sopraffatta dall’ondata di insurrezionisti. Le tappe della rivolta ordita ed inscenata da Trump sono state illustrate e documentate dal Select Committee della Camera che tra gli altri convocava a testimoniare i dirigenti del Dipartimento della Giustizia – il facente funzione di Attorney General Jeffrey Rosen ed il suo vice Richard Donoghue – che erano stati oggetto delle forti pressioni del presidente affinchè ammettessero che si erano verificati illeciti nel conteggio dei voti. Trump li esortava a legittimare una indagine sul presunto stravolgimento del voto elettorale aggiungendo: “voi pensate a questo, al resto ci penso io con i membri repubblicani
del Congresso”. In pratica, Trump spalancava la porta ad un vero e proprio colpo di stato.
Trump non aveva fatto i conti con l’integrità del Dipartimento della Giustizia, che non è l’avvocato del presidente bensí del popolo americano. Tutti gli alti funzionari del ministero, e con essi la grande maggioranza dei procuratori di stato, minacciava dimissioni in blocco. L’ordine costituzionale reggeva alla prova neutralizzando il forte rischio che correva lo stato di diritto negli Stati Uniti. Queste rivelazioni hanno ricevuto sufficiente diffusione presso l’opinione pubblica portando alla luce il fatto che Donald Trump già all’indomani della consultazione elettorale era il mandante dell’insurrezione nella speranza quanto meno che lo stato di crisi nazionale impedisse l’installazione di una nuova amministrazione.
L’indagine congressuale ha assolto il suo compito circa un altro aspetto fondamentale del complotto ordito da Trump per rovesciare il verdetto elettorale, documentando il fatto che l’elezione presidenziale
si era svolta con tutti i crismi della legalità. Lo aveva dichiarato ufficialmente l’Attorney General dimissionario William Barr e dopo di lui il facente funzione di AG Rosen. “La teoria di un’elezione
rubata e corrotta – testimoniava Rosen – era errata allora e lo é oggi”. Di fatto, i dirigenti del Dipartimento della Giustizia sono i veri eroi del salvataggio dell’ordine costituzionale, per il semplice fatto che
il loro operato, ed il coraggioso rigetto delle imposizioni del presidente, impedirono l’esecuzione della manovra principale di Trump, quella di offrire il pretesto alle legislature statali a lui asservite per nominare grandi elettori presidenziali sostituti e bloccare in tal modo l’assunzione del potere da parte di Biden. Una gran parte dell’America non dimenticherà Rosen e le migliaia di funzionari del suo dipartimento.
Resta il fatto che Donald Trump, per quanto sconfitto, non ha fatto la fine di un altro presidente reo di eccessi infamanti quale Nixon ma resta a capo di un partito che a detta di molti, ha perso contatto con la realtà. Ce ne vorrà perchè l’America si sbarazzi una volta per tutte della sua malefica influenza. Ma quel giorno verrà.

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