Il tempo non gioca a favore della rielezione di Joe Biden. L’America va avanti come può, certamente meglio dell’Europa ma condizionata da una situazione assurda, in cui l’ottimo stato dell’economia – evidenziato da una disoccupazione inferiore al 4 per cento – è politicamente soverchiato da una incessante lamentela dell’opinione
pubblica per l’aumento del prezzo della benzina e subito dopo per quello delle uova. Il fatto che l’amministrazione Biden sia impegnata in un grande sforzo per salvare l’integrità territoriale dell’Ucraina resta infatti in secondo piano. Paradossalmente, la guerra in Ucraina si é rivelata una manna per i produttori di armamenti, che come ai
tempi della guerra civile spagnola possono testare armi sempre più avanzate. Resta il fatto che da sole, la tecnologia e gli aiuti finanziari dell’Occidente non garantiscono la salvaguardia della nazione ucraina sotto l’intensificato attacco delle forze armate russe protese a distruggere i centri abitati del Paese ed massacrare a forza di bombe la popolazione civile. E’ ormai evidente che le sanzioni non hanno
arrestato l’invasione russa e che il calcolo strategico di Mosca è mutato
in un senso che minaccia il peggio.
Un’altra sfavorevole conclusione è che nuove politiche punitive per l’aggressione russa, specificamente quelle nel campo della finanza, non sembrano influenzare in modo alcuno il comportamento di Putin, tanto più che questi fa conto su una forte percentuale di appoggio interno, dopo aver praticamente liquidato ogni dissenso. L’Occidente non cesserà di appoggiare la resistenza ucraina ma intanto il corso degli
eventi è tale da costringere gli europei a prendere atto del fatto che in Russia impera ormai un nuovo stalinismo. In parole povere, la nuova tragedia europea va ben aldilà del disperato tentativo di salvare l’Ucraina, ma condanna Europa e America ad un nuovo difficile corso di contenimento dell’aggressività putiniana, con sacrifici che annullano le aspettative di migliore vita dei Paesi liberi dell’Occidente. Basti osservare quel che sta accadendo negli Stati Uniti dove l’aumento del prezzo delle uove diventa improvvisamente un fattore politico.
L’unico sviluppo che ha rallentato l’espansionismo di Putin è il fallimento
dell’offensiva che mirava a conquistare la capitale ucraina. In questo teatro, i moderni mezzi anticarro e di difesa dall’assalto aereo sono stati sfruttati con perizia dall’esercito ucraino, ma i pochi equipaggiamenti bellici disponibii agli ucraini sono dell’epoca sovietica. Di caccia e carri armati di ultima generazione non se ne parla. Non c’è bisogno di essere uno stratega per capire che la guerra in Ucraina verrà vinta o persa sul campo di battaglia ad oriente. Anche in presenza di sanzioni ampliate ed applicate con decisione nei prossimi giorni, l’unico sviluppo atto a rallentare l’offensiva del generale “macellaio” di Putin è quello di perdite russe aldilà di quelle ritenute tollerabili al Cremlino.
Per quanto molti indicatori strategici escludano il recupero da parte ucraina
di una grossa fetta del territorio orientale, stante l’ostinato rafforzamento
delle forze russe nelle due repubbliche filorusse del Donbass e nei porti del
litorale sul Mar Nero, è possibile concepire una vittoria ucraina nel senso di una
messa in sicurezza dell’autorità centrale del regime di Zelensky e di una rapida
integrazione dell’Ucraina nell’Occidente liberale, e più specificamente nell’Unione Europea. Al centro di tutto è il disegno di soddisfare la sete di indipendenza e sovranità in uno stato di diritto che unisce gli ucraini. Sono queste le aspirazioni che Putin cerca di soffocare nel sangue.
Per gli Stati Uniti e gli alleati europei è giunto il momento di concordare una strategia politico-militare che non sia gravata dal dubbio su quel che Putin potrebbe fare o non fare qualora dovesse considerare gli aiuti militari d’avanguardia all’Ucraina una “escalation” del conflitto. Di fatto, comincia a farsi sentire la voce di esponenti politici, anche repubblicani, che si chiedono perchè si debba aspettare tanto prima di fornire aerei moderni e batterie Patriot antiaeree agli ucraini. Ma aldilà della pressante priorità di neutralizzare la strategia distruttiva senza quartiere di Mosca,
i leader ameriani ed europei devono urgentemente riorganizzare l’architettura
di sicurezza per l’Europa. Questa non può che ripartire dalla riorganizzazione
delle forze militari dislocate nelle frontiere orientali. L’iniziativa americana
è centrale in tale disegno. L’impiego della potenza americana per la sicurezza europea è tornato dunque ad essere essenziale come ai tempi della Guerra Fredda. Ma sarebbe irrealistico accantonare i dubbi che investono lo spiegamento della potenza militare americana a sostegno di una nuova architettura di sicurezza in Europa. Sono i dubbi sollevati dalla polarizzazione della politica nazionale degli Stati Uniti e dall’isolamento politico e psicologico dell’americano medio per il rincaro della benzina e delle uova. Sono elementi che spiegano la riluttanza del presidente Biden a spingersi troppo avanti nella difesa degli ucraini, sotto il diluvio dei patetici appelli di Volodymyr Zelensky per armi più efficaci per la difesa della sua Ucraina. E’ ormai palese che i fronti interni si vanno facendo determinanti nella difesa delle democrazie liberali dagli assalti di un mondo esterno che dalla Russia alla Cina, dai potentati arabi alle stesse “democrazie illiberali”, cerca di seminare incertezza e di diffondere l’infezione di ipocriti nazionalismi. Ancora una volta, l’America svolge un ruolo decisivo per il futuro dell’Europa. Ma c’è il pericolo, non si può ignorarlo, che una parte dell’America contemporanea, eccessivamente affranta dall’inflazione,
accetti una situazione in cui la destra trumpiana si sforza di sconfiggere
Disneyland e non già la Russia del paria Vladimir Putin.