Il Presidente Biden sta tentando, con ogni mezzo a sua disposizione, di
ricostruire quella che a suo tempo fu definita “la coalizione dei bendisposti”
(coalition of the willing) con la differenza che questa volta i volenterosi
dell’Occidente sono chiamati non già far parte di una forza multinazionale,
come quella assemblata dal Presidente George W. Bush per distruggere la dittatura di Saddam Hussein in Irak, ma di una coalizione disposta a sostenere la guerra economica che gli Stati Uniti hanno dichiarato alla Russia di Putin. Il dilemma più struggente di Joe Biden è di fatto quello che riguarda la Cina: se minacciare la Cina di ritorsioni nel caso in cui aiutasse la Russia ad evitare un tracollo economico dovuto alle pesanti sanzioni del mondo occidentale associato alla NATO oppure dirigere verso Xi Jinping promesse e blandizie tali da scavare un solco tra Russia e Cina, come fece il Presidente Nixon con il suo famoso viaggio a Pechino
nel 1972.
Tanto per cominciare, il problema di Biden è che tra i dieci più popolosi Paesi al mondo, gli Stati Uniti sono l’unico che persegue sconvolgenti sanzioni economiche contro la Russia. India, Indonesia, Nigeria e Brasile hanno condannato l’invasione russa dell’Ucraina ma non si sono associate
all’offensiva economica contro Putin. In aggiunta, questi ed altri stati non
mostrano alcun entusiasmo per le conseguenze delle sanzioni occidentali
che stravolgono la rete di rapporti commerciali nel mondo. Non mancano
inoltre voci, al di fuori dell’America e dei suoi alleati europei, che oltre a
manifestare forti apprensioni circa gli effetti globali della guerra economica
manifestano una forte paura di escalation fino allo scoppio di una nuova guerra mondiale con lo spettro dell’impiego di armi nucleari.
Di fatto, non sono poche le nazioni nel cosidetto Global South,
fino al Medio Oriente e all’Africa, che non hanno un interesse diretto nello
scontro ma hanno invece un interesse nazionale a non provocare l’ira di
Putin. Un discorso in senso opposto vale per la stessa “coalizione dei bendisposti” dove non mancano voci critiche secondo le quali l’assistenza bellica all’Ucraina non puo’ essere handicappata dal timore di “provocare Putin”.
Quel che la coalizione ha fatto finora non garantisce negoziati tali da
assicurare l’indipendenza e l’integrità territoriale dell’Ucraina. E’ chiaro
peraltro che lo Zar Putin è vicino ad uno stato di disperazione per il fatto che la sua “operazione militare” in Ucraina non è andata nel verso sperato.
Il massimo che realisticamente Putin può sperare è di ottenere un
regolamento di fatto che lascerà l’Ucraina in un limbo ed in quella che
sarà una distesa di cocci. All’Occidente toccherá l’arduo compito di
rimettere in piedi un Paese che avrà perso anche una vasta parte della
sua popolazione. Sempre che non succeda quello che molti temono, una
spartizione dell’Ucraina.
Last but not least, Biden attende di vedere fino a che punto la Cina sia
vicina alla Russia di Putin. Secondo notizie non confermate, la Russia avrebbe chiesto alla Cina imprecisati armamenti bellici. Non sorprendentemente, Mosca ha chiesto anche un sostegno economico e finanziario della Cina al fine di neutralizzare la disastrosa ricaduta delle sanzioni occidentali. Il Consigliere per la Sicurezza Nazionale
Jake Sullivan non ha perso tempo nel diramare una minaccia alla Cina: “ci saranno conseguenze – ha detto – al tentativo di evadere le sanzioni su vasta scala o di supportare la Russia in un’azione di recupero”. Da parte russa è arrivata una dichiarazione del ministro delle finanze Anton Siluanov secondo cui una buona parte dell’oro e delle divise estere della Cina sono in moneta cinese. Mosca fa dunque conto sulla partnership di Pechino mentre gli Stati Uniti sono decisi a bloccare possibili furniture di materiale bellico cinese. In questo quadro, é ovvio che la scelta determinante è quella cinese. Il minimo che Washington si attende è che Xi prenda le distanze da Putin e garantisca che restano aperti i canali di comunicazione, una prospettiva confermata dagli incontri che lo stesso Sullivan avrà a Roma questa settimana con il membro del politburo cinese Yang Jiechi.
Tutto lascia pensare che gli Stati Uniti faranno leva sull’intenzione di Pechino di non compromettere i vasti interessi commerciali con l’America e i partner europei. Il risultato sarà visibile tra non molto.