Alla fine, ha prevalso la democrazia rappresentativa. Joseph Biden e’ stato
dichiarato presidente eletto degli Stati Uniti al termine di un interminabile
stressante conteggio svoltosi tra contestazioni, ricorsi legali ed ignobili proclami di vittoria emessi dal perdente, il presidente Donald Trump, che passera’ alla storia per la sua politica velleitaria ma soprattutto come “one term president” sfuggito per poco allo ”impeachment”. Di fatto, Trump e’ il primo presidente non rieletto dopo la sconfitta di George W.H. Bush nel 1992. La vittoria di Joe Biden rappresenta una svolta epocale in America anche per l’elezione alla vice presidenza della prima donna, Kamala Harris, che impersona la diversita’ dell’America che cambia. Il 77enne Joe Biden era al suo terzo tentativo per la Casa Bianca. Il suo successo ha dello straordinario perche’ nella battaglia delle elezioni primarie aveva rischiato l’eliminazione. Se e’ lecito fare dell’ironia, l’America ha detto a Trump “you are fired” (sei licenziato) sulla falsariga del verdetto che Trump emetteva ai concorrenti nel suo programma televisivo “the apprentice”(l’apprendista). Ora tocca a Donald Trump apprendere come comportarsi all’indomani della sua sconfitta, dapprima nei 75 giorni di governo che gli rimangono e poi negli anni susseguenti. Sara’ un periodo di fuoco perche’ il presidente uscente continuera’ ad inveire contro il “complotto” che ha consegnato la presidenza a Biden. Mentre e’ possibile che Trump venga accompagnato alla porta, non scompare un macigno che condiziona il progresso della democrazia rappresentativa, un base trumpista di notevole pervicace consistenza che intralcera’ l’opera della nuova amministrazione.
Un’altra riflessione ironica si impone all’immediato indomani della vittoria
di Biden. “Chi di spada ferisce, di spada perisce”. Nel 2016, Trump aveva
strappato la presidenza alla modesta Hillary Clinton raccogliendo 107.000
voti in piu’ in tre stati del Nord (Pennsylvania, Michigan e Wisconsin), un’inezia rispetto ai 120 milioni di voti espressi in quella tornata elettorale.
Questa volta Biden ha prevalso su Trump per 34.000 voti in Pennsylvania, lo stato che lo ha proiettato oltre la soglia dei 270 voti del Collegio Elettorale necessari per l’elezione. Gli scarti nel Michigan e nel Wisconsin sono risultati analogamente minimi, ma sufficienti all’affermazione di Biden nel cosiddetto “Blue wall” (il muro blu), che aveva determinato l’elezione a sorpresa di Trump quattro anni fa. In questo raffronto emerge un dato decisivo: gli elettori democratici che nel 2016 avevano subito l’attrazione della campagna di Trump contro lo “swamp” ossia la palude di Washigton, quest’anno sono tornati nella loro casa democratica. La vittoria di Joe Biden ha altre rilevanti matrici. Innanzi tutto, segna un record nel numero di votanti a suo favore, 75 milioni, uno scarto di 4.200.000 sul presidente repubblicano. Ed ancora, Biden ha conquistato la Georgia che non aveva votato a favore di un candidato democratico dal lontano 1992.
In aggiunta, l’Arizona aveva votato per il candidato repubblicano dal 1952,
con una sola eccezione. Il fatto centrale comunque e’ questo: Biden e’ prevalso su una formidabile cultura politica trumpista che poggiava su fatti alternativi, su una virulenta propaganda conservativa ed estremista dei social media e sul penoso servilismo degli organi del partito repubblicano. L’imperiosa politica di Donald Trump aveva stravolto i principi fondamentali della democrazia rappresentativa, a cominciare dal rispetto della costituzione e del dialogo politico improntato ad un confronto civile di idee ed ove possibile al compromesso. I padri fondatori volevano rompere con l’autoritarismo della monarchia inglese e intendevano promuovere una
dialettica, anche intensa fino ad essere conflittuale, ma ispirata ai dettami
della democrazia rappresentativa. Donald Trump aveva dichiarato guerra
a tutti coloro che sostenevano idee e tendenze politiche contrastanti,
con un linguaggio politico portato all’offesa e spesso all’insulto gratuito.
L’ostilita’ dichiarata agli elementi critici, visti come nemici anziche’ come
avversari, restera’ purtroppo l’asse portante del trumpismo che continuera’
ad imperare su una vasto settore della popolazione americana, in particolare quello sudista e rurale. Se e come la democrazia rappresentativa potra’ far breccia sull’intransigente blocco trumpista non e’ dato prevedere, ma il successo di Biden in stati del Sud come la Georgia e l’Arizona alimenta
una qualche speranza. La vittoria di Biden autorizza quanto meno la prosecuzione di un processo politico che assimila i portatori di diversita’ e li responsabilizza come partecipanti all’evoluzione della giustizia sociale. Biden ha additato il dovere degli americani con una frase illuminata: “L’unita’ sopra le divisioni. La Speranza sui timori. La Scienza sulla finzione”. Joe Biden eredita il potere in una nazione prostrata dall’epidemia del covid-19 e dal regresso economico. Ma i suoi istinti, soprattutto quelli attinenti alla creazione di unita’, appaiono fondati e tali da incoraggiare fiducia in una grave congiuntura politica e morale. In questo quadro si collocano gli impulsi della parte sana della popolazione americana volti a superare le divisioni razziali, classiste e quelle insite nella
diseguaglianza dei redditi. Joe Biden e’ tutt’altro che un apprendista promosso alla guida della nazione. Ha una lunga esperienza di moderato, portato al dialogo e al compromesso. Ora dovra’ vedersela con un senato che molto probabilmente restera’ nelle mani dei repubblicani (anche se restano da attribuire due seggi nella Georgia). Cerchera’ di venire a patti con il cerbero republicano del senato, il leader McConnell, un tecnico dell’ostruzionismo. Contrariamente a quanto molti avvertono, Biden e McConnell si conoscono bene e si stimano reciprocamente. Particolare interessante, McConnell fu l’unico senatore republicano presente alle esequie del figlio di Biden, Beau. L’opposizione di McConnell potrebbe essere ben diversa e certamente non implacabile come lo era quella di Trump. Un primo elemento di giudizio verra’ con l’approvazione di un legge di soccorso finanziario agli americani in generale ed alla struttura economica colpita dalla pandemia.
La volonta’ di Biden di promuovere unita’ nella nazione ha un altro
destinatario, la sinistra americana. Le divergenze di indirizzi sociali
ed economici non mancheranno di farsi sentire e potranno complicare
la ricerca di compromessi legislativi. Anche su questo versante, dunque, il
compito del presidente eletto e’ quanto mai impegnativo.
Il fatto stesso che Biden finira’ probabilmente con l’accumulare 306
voti elettorali, quanti ne riporto’ Trump nel 2106, testimonia la spaccatura
che continua a tormentare la nazione americana. Tra le tante
analisi del voto e dell’elettorato, una dovrebbe sovrastare: Biden ha
vinto non solo perche’ questa volta si e’ riprodotta la coalizione
democratica che elesse Obama – che abbraccio’ afro-americani,
la suburbia ed un numero sufficiente di lavoratori “blue-collar” – ma
perche’ una maggioranza di americani lo ha percepito come un
uomo dotato di equilibrio, moralmente e politicamente qualificato
a fare fronte alla doppia sconvolgente crisi della pandemia e dell’economia.
In fondo, questa resta la maggiore differenza con Trump, artefice di un
caos morale e politico. Coerenza alla ricerca’ di unita’ e fiducia nel
futuro sono il viatico alla presidenza Biden.