Il sollevamento di una massa di americani – tra cui una maggioranza di bianchi –nel ripudio di ostinati simboli di razzismo e i perduranti eccessi di
brutalita’ da parte di corpi di polizia municipali adusi al razzismo
stanno creando un solco anche nel campo dei repubblicani in una congiuntura nellaquale il presidente Trump affida le sue speranze di rielezione ad una lacerazione razziale. Non meno rilevante e’ il fenomeno della crescente frattura tra il presidente e le forze armate, uscite all’aperto contro il tentativo del presidente di politicizzarle. Le sferzanti critiche rivolte a Trump da generali dei quali Trump si era circondato agli albori della sua presidenza testimoniano che il grosso delle forze armate non accetta di essere politicizzato e impiegato dal presidente come
scudo contro movimenti di protesta che hanno turbato profondamente la nazione.
L’aspetto piu’ saliente e’ che Trump e’ gia’ vittima di un boomerang: nel proclamarsi “presidente del law and order” il presidente invoca una riedizione degli eventi del 1968 quando Richard Nixon vinse quelle elezioni con lo slogan del “law and order” come garanzia di stabilita’. A quel tempo il 56 per cento degli americani approvava l’uso della forza contro manifestazioni di protesta come quelle che sconvolsero
la convenzione democratica di Chicago. A dimostrazione di quanto siano cambiati i tempi e l’elettorato basti citare gli attuali sondaggi dai quali risulta che quasi il 75 per cento degli americani appoggia le proteste esplose in America dopo l’uccisione di George Floyd per mano di un poliziotto di Minneapolis.
Per tutta risposta, Donald Trump appare piu’ interessato a soffiare sulle fiamme della “culture war”, la guerra di cultura che divide l’America, piuttosto che estinguerle. La sua minaccia di mandare l’esercito nei centri urbani teatro delle proteste ha esacerbato la situazione, come nel caso della vergognosa sceneggiata con la bibbia davanti a St. John’s in Lafayette Square a Washigton, dove un contingente misto di polizia e guardia nazionale aveva usato gas lacrimogeni e pallottole al pepe per sgomberare la piazza. Dinanzi al diluvio di critiche, prima fra tutte quella
del sindaco di Washington, Trump si schierava con le forze di polizia e minacciava di inviare truppe armate nelle citta’ americane per stroncare i disordini, a suo dire opera di “radicali e anarchici”.
Resta da spiegare la riluttanza di taluni circoli repubblicani a far fronte alla crisi delle relazioni razziali, verosimilmente dovuta al timore di alienare parte del fronte conservatore nelle prossime elezioni. La vera spiegazione e’ peraltro che il partito repubblicano e’ una partito di uomini bianchi che difendono, oltre alla polizia, le bandiere, le statue ed altri simboli della confederazione sudista. In ordine di tempo, e’ scoppiata un furibonda polemica attorno alla proposta di cambiare i nomi di basi militari che celebrano generali sudisti come nel caso della smisurata base
di Fort Bragg, intitolata ad un generale che ha la distinzione di aver perso tutte le battaglie svoltesi sotto il suo comando, e di Fort Benning, un generale ricordato per la sua feroce difesa del razzismo negli stati del sud. Sorprendentemente, si e’ verificato il caso che il comitato senatoriale per le forze armate, la cui maggioranza e’ repubblicana, ha approvato una disegno di legge per la difesa che include una richiesta al Pentagono di cambiare i nomi di basi militari tra cui Fort Bragg e Fort Benning.
La stagione elettorale entrata ormai nel vivo ha gia’ prodotto varie sorprese, tra cui le affermazioni di giovani candidati progressisti in elezioni primarie in cui appariva difficile scalzare gli esponenti in carica. Qualche osservatore ha definito la svolta come la “carica dei millennials” che segna l’apparizione di forze giovani nel campo democratico. Questi neofiti si definiscono “socialisti democratici” (Bernie Sanders ha certamente lasciato il segno) o semplicemente progressisti. Tale e’ l’appellativo che si e’ attribuita l’italo-americana Amanda Cappelletti, che ha battuto iI senatore dello stato in carica per conquistare la candidatura democratica in un distretto di Philadelphia. Il fatto nuovo del quale va tenuto conto e’ che i giovani leoni si servono in prevalenza dei social media per far conoscere la propria candidatura. In tal modo scavalcano la leadership del partito e l’organizzazione elettorale dell’establishment. Non vi e’ dubbio che
la “millennial generation” e’ piu’ “liberal” di quella precedente e che la sua
forza e’ nei centri urbani. Resta da vedere comunque se le emergenti forze nuove del partito democratico siano propense ad allearsi con la forte componente di colore, che comprende non solo afro-americani, ma hispanici e asiatici. La capacita’ di coagulare dei democratici e’ di fatto la chiave piu’ importante delle elezioni presidenziali.
Un’altra chiave elettorale e’ quella del voto cosiddetto “suburbano”, che sin dal giorno dell’elezione di Trump favorisce nettamente il candidato democratico. E’ una fetta dell’elettorato fortemente motivata a favore della giustizia razziale ed in via subordinata all’ondata di proteste scatenata dalla brutale uccisione di George Floyd. Sul fronte opposto, il presidente Trump proclama la necessita’ di confrontarsi con il bigottismo e il pregiudizio ma subito dopo aggiunge: “Non faremo progressi e non cureremo le ferite propagando falsita’ nei confronti di decine di milioni di
americani decenti chiamandoli razzisti o bigotti”. Questa difesa della base conservatrice del trumpismo fa il paio con l’ormai famosa dichiarazione al tempo dei disordini di Charlottesville quando Trump defini’ “ottima gente” gli estremisti partecipanti ad un comizio suprematista. Ed ora lo stesso Trump assicura che il problema del razzismo verra’ risolto “molto facilmente e rapidamente”.
Una riflessione sulle conseguenze di quanto e’ accaduto in questo momento storico e’ che una massa di bianchi – soprattutto giovani, ma non solo – ha abbracciato il movimento “Le Vite Nere Contano” (Black Lives Matter) drammatizzando lo spostamento a sinistra della pubblica opinione in ordine alle questioni razziali. La sorpresa maggiore pero’ e’ venuta da una fonte insospettabile, la Corte Suprema, roccaforte conservatrice, con una decisione che ha affermato la protezione dei
membri LGBT, ai sensi del Civil Rights Act del 1964. Fino a questa svolta, era legale licenziare i gay, bisessuali e transgender in ventisei stati. Ha fatto scalpore che il giudice che ha redatto la sentenza sia Neil Gorsuch, uno dei magistrati conservatori nominati da Trump. D’ora in poi, sara’ praticamente impossibile arrestare il progresso dei diritti degli LGBT. In pratica, la Corte Suprema potrebbe rappresentare la prova del fuoco della politica americana, nel senso che una vittoria democratica a Novembre,
preludio alla nomina di giudici liberali, forzerebbe un sostanziale mutamento dei suoi orientamenti in forza anche al principio che la massima corte non puo’ non recepire il corso della politica del Congresso. Sarebbe questo il piece de resistance dell’opera di ricostruzione istituzionale e politica dopo quattro anni di sfacelo generato
dalla presidenza di Donald Trump.
Solo un personaggio afflitto da narcisismo e autoritarismo puo’ concepire soluzioni semplici e facilmente praticabili per problemi antichi e complessi, dal razzismo all’immigrazione, con la sicumera di poter vantare una vittoria personale. Di fatto, Trump e’ un uomo del passato, come dimostra l’illusione di poter ricalcare la campagna di Richard Nixon con il suo appello alla “maggioranza silenziosa” all’insegna del “law
and order”. Patrick Buchanan, che fu uno dei portavoci di Nixon, ha ricordato che nel 1968 la “Middle America”, ossia l’americano medio sosteneva i poliziotti di Chicago. Nixon ebbe buon gioco ad impostare la sua campagna sul pugno duro. Un altro storico segnala che mentre Nixon manovrava in segreto, Trump agisce all’aperto. Ed ancora, Nixon
considerava la presidenza un’istituzione “dignitosa” mentre Trump esercita la presidenza come una estensione di se stesso.
Una riflessione sulle conseguenze di quanto e’ accaduto in questo momento storico e’ che una massa di bianchi – soprattutto giovani, ma non solo – ha abbracciato il movimento “Le Vite Nere Contano” (Black Lives Matter) drammatizzando lo spostamento a sinistra della pubblica opinione in ordine alle questioni razziali. La sorpresa maggiore pero’ e’ venuta da una fonte insospettabile, la Corte Suprema, roccaforte conservatrice, con una decisione che ha affermato la protezione dei membri LGBT, ai sensi del Civil Rights Act del 1964. Fino a questa svolta, era legale licenziare i gay, bisessuali e transgender in ventisei stati. Ha fatto scalpore che il
giudice che ha redatto la sentenza sia Neil Gorsuch, uno dei magistrati conservatori nominati da Trump. D’ora in poi, sara’ praticamente impossibile arrestare il progresso dei diritti degli LGBT. In pratica, la Corte Suprema potrebbe rappresentare la prova del fuoco della politica americana, nel senso che una vittoria democratica a Novembre,
preludio alla nomina di giudici liberali, forzerebbe un sostanziale mutamento dei suoi orientamenti in forza anche al principio che la massima corte non puo’ non recepire il corso della politica del Congresso. Sarebbe questo il piece de resistance dell’opera di ricostruzione istituzionale e politica dopo quattro anni di sfacelo generato dalla presidenza di Donald Trump.