Lo scenario delle prossime elezioni presidenziali e’ ormai disegnato. Abbraccia due temi: la guerra del Presidente Trump alla scienza, paradossalmente concatenata alla speranza che la stessa scienza produca un vaccino affidabile per il coronavirus a disposizione degli americani prima della fine dell’anno, meglio ancora se prima del 4 Novembre. La guerra ai Fauci ed agli epidemiologi si sta facendo ancora piu’ intensa e produce effetti sconcertanti, come l’annuncio di Trump secondo cui starebbe seguendo una terapia anti COVID-19 a con la idrossiclorochina, il farmaco anti-malarico che egli ha irresponsabilmente sbandierato come una miracolosa cura anti-virus. Sono molti coloro che hanno preso l’annuncio di Trump come l’ennesima smargiassata del presidente, arcinoto come bugiardo patologico. La mossa ha un’evidente spiegazione, quella di riportare a Trump la centralita’ del dibattito farmacologico-terapeutico permettendogli di dichiarare, tra un giorno o due, che la prova e’ terminata brillantemente e che in ogni caso la idrossiclorochina non e’ un farmaco pericoloso, contrariamente a quanto la grande maggioranza dei medici ha fatto sapere sin dal primo momento. L’unica smentita potrebbe venire da un improvviso malore del presidente (il farmaco in questione puo’ arrecare gravi disturbi alla circolazione cardiaca) ma sarebbe ingenuo credere che Trump abbia effettivamente preso le pillole. Non vi e’ limite infatti alle vanterie assurde del presidente. L’ultima in ordine di tempo e’ l’asserzione che e’ un “simbolo d’onore” il fatto che gli Stati Uniti abbiano registrato un milione e mezzo di casi di coronavirus, il piu’ alto numero di infezioni al mondo. “E’ un grande tributo al nostro impiego di testing”, ha annunciato.
Di fatto, e’ accertato che gli Stati Uniti hanno condotto testing in misura inferiore ad altri Paesi, a cominciare dalla Corea del Sud. Il presidente ha lanciato la sua ultima accusa al Dipartimento per gli Affari dei Reduci (Department of Veterans Affairs) reo di aver pubblicato i risultati di uno studio dal quale risultava che i malati ai quali era stata somministrata l’idrossiclorochina erano deceduti in misura maggiore che non quelli che non l’avevano presa. Trump definiva lo studio “un falso” oltre che “una dichiarazione nemica”. Agli inizi della pandemia in America, che il presidente aveva ripetutamente sminuita come una sottospecie di influenza ed “un imbroglio democratico”, la idrossiclorochina era stata osannata da Trump come un farmaco “game changer” ossia una svolta terapeutica fondamentale. Si puo’ parlare insomma, per assurdo, di “accanimento terapeutico” di Donald Trump in un campo in cui non pochi scienziati confessano di non conoscere il raggio di azione del virus nel corpo umano. La guerra che Trump conduce contro la scienza medica, che osservando i dettami di Esculapio rispetta la priorita’ di non far del male ai pazienti, ha molteplici obiettivi ma il piu’ rilevante e’ la spinta politica verso il ritorno alla normalita’, chiesto a gran voce dalla base di destra repubblicana. E’ in realta’ un espediente per distogliere la polemica attorno all’impreparazione e alla sottovalutazione della pandemia da parte dell’aministrazione e di incanalare il dibattito verso il presunto successo della strategia di riattivazione della macchina economica del Paese, che secondo Trump sara’ “incredibile”. Lo strumento di normalizzazione e’ strettamente legato al calcolo elettorale. Trump conta quindi su due sviluppi cruciali alla rielezione: la ripresa economica e la disponibilita’ di un vaccino anti COVID-19. Si tratta di due fronti che autorizzano speranze ma non risultati in tempi brevi. Quello economico e’ lontano dall’assicurare a Trump un panorama economico ed industriale paragonabile a quello esistente fino all’esplosione della pandemia. Sul secondo fronte, Trump ha presentato la prossima scoperta di un vaccino anti-virus come qualcosa che la scienza americana puo’ realizzare ad una fenomenale “velocita’ di curvatura” (warp speed) con il concorso di enti governativi e privati.
E’ una prospettiva che non basta a tacitare tutti coloro che anche all’interno dell’amministrazione avevano denunciato e continuano a denunciare la mancanza di una risposta coordinata alla pandemia in conseguenza di decisioni influenzate dalla politica anziche’ dalla scienza. La guerra di Trump contro la scienza ha portato intanto ad uno scontro aperto tra il presidente e il CDC (Centers for Disease Control and Prevention), colpevole di non aver istituito un valido programma di distribuzione dei test diagnostici nonche’ di aver lanciato un forte segnale di allarme con la previsione che “lo sconvolgimento della vita di ogni giorno potra’ essere gravissimo”. Il peso delle accuse di comportamento negligente della Casa Bianca e’ costante ed aggravato da ricerche come quella dello stesso CDC che segnala come l’imposizione di misure drastiche una settimana prima avrebbe scongiurato il decesso di 36.000 persone. “La Casa Bianca ci ha messo il bavaglio”, hanno denunciato sei funzionari del CDC, rendendo noto che l’agenzia sanitaria era pronta ad emettere una segnalazione di allarme il 5 Marzo mentre questa veniva annunciata soltanto l’11 Marzo in congiunzione con le restrizioni presidenziali ai voli dall’Europa. La diffusione data dagli organi di informazione ai retroscena dell’ indecisione e incompetenza dell’amministrazione Trump dinanzi allo sconvolgente arrivo del COVID-19 sono alla base della consueta strategia di Donald Trump di scaricare su altri la responsabilita’ dei suoi errori, ed in particolare dell’incapace reazione al virus. In questa strategia rientra il duro attacco all’Organizzazione Mondiale per la Sanita’ a motivo di una presunta convivenza con la Cina e della mancanza di trasparenza attorno all’origine della pandemia a Wuhan. Sul piano economico, i numeri non potrebbero essere piu’ disastrosi per Donald Trump.
I disoccupati sono ormai piu’ di 38 milioni e quel che e’ peggio, gli economisti avvertono che il 42 per cento delle recenti interruzioni dei rapporti di lavoro sfocera’ nella perdita permanente del lavoro stesso. Una conseguenza della crisi nel mercato del lavoro sara’ quella di favorire la tendenza all’automazione nell’intento di evitare lo stretto contatto tra lavoratori. Per questi inevitabili sviluppi l’amministrazione Trump appare ancora una volta impreparata, anche se non mancano ammonizioni all’interno di essa, come quella del presidente della Federal Reserve Jerome Powell, secondo cui la ripresa tanto invocata dal presidente non potra’ verificarsi fintanto che il virus non verra’ posto sotto controllo. In altre parole, la ricaduta finanziaria ed economica del Paese potrebbe durare piu’ a lungo. Le incertezze e i rischi che gravano sulla prospettiva economica non possono che influenzare la reazione dei consumatori e di conserva i loro suffragi nella consultazione presidenziale. Tutto cio’ spiega non solo l’assoluta necessita’ per Trump di ripristinare fiducia con l’arrivo del vaccino ma di sfruttare gli umori negativi dell’elettorato ammonendo i leader hispanici che la sua rielezione e’ nel loro interesse se vogliono evitare una “massiccia depressione”. Di fatto, Trump ha riscosso solo il 28 per cento del voto latino nel 2016. Ed infine, e’ evidente che Trump fa affidamento sull’architettura elettorale del partito repubblicano per contenere quanto piu’ possibile l’afflusso alle urne di quei settori che votano in maggioranza per i democratici, dai giovani alle minoranze, e per l’appunto gli hispanici. Si spiega cosi’ la forte resistenza della Casa Bianca al voto per posta che secondo Trump conferisce un enorme vantaggio ai democratici. Di fatto, non e’ affatto provato che il voto per posta rappresenti uno svantaggio per i repubblicani per una serie di motivi, tra cui il rilevante ricorso al voto postale da parte degli elettori bianchi anziani, notoriamente fedeli al GOP.
Quel che e’ piu’ preoccupante per i democratici e’ la coincidenza di interessi tra il partito repubblicano e l’America bianca, assecondata dalla maggioranza conservatrice presso la Corte Suprema. I giudici della destra non perderanno occasione per favorire norme che di fatto equivalgono ad una “voter suppression”, l’eliminazione di elettori come conseguenza dei cambi di residenza, della documentazione imposta dagli stati repubblicani, della chiusura di seggi e della manipolazione dei registri elettorali con una serie di pretesti. E’ scontato insomma ache la pandemia aggrava il fenomeno della “voter suppression”, l’arma non tanto segreta dei repubblicani. Tutto cio’ spiega perche’ la battaglia per il voto di Novembre divampi ora su fronti diversi, ed in modo speciale attorno alle regole e condizioni per il voto postale. Una componente sempre piu’ rilevante di questa battaglia e’ il chiaro intento del presidente di indebolire al massimo il funzionamento del servizio postale americano. E’ convinzione generale che si tratti di una vendetta di Trump dovuta al fatto che il nemico numero uno del presidente e’ Jeff Bezos, proprietario di Amazon, che secondo Trump sfrutterebbe le basse tariffe dello U.S. Postal Service. La battaglia coinvolge a fondo il Congresso, dove lo Speaker Pelosi intende sottoporre la proposta di un eccezionale finanziamento del servizio postale. Da parte sua, Trump minaccia di bloccare fondi federali per il Michigan e il Nevada nel caso in cui dovessero approvare leggi speciali per l’estensione del voto postale. Anche in questo caso, il presidente manda a benedire la costituzione. Questo e’ solo l’inizio di una guerra senza quartiere tra la Casa Bianca e gli stati ad amministrazione democratica, che sono proprio quelli ritenuti chiave di volta del Collegio Elettorale. E’ un sintomo della disperazione di Trump ma anche una leva per attivare il pieno concorso della sua base elettorale.