I devastanti postumi dell’assassinio del generale iraniano Qassem Soleimani non possono che approfondire la profonda crisi delle relazioni transatlantiche. Il presidente Trump pensa di aver evitato un conflitto regionale dopo aver soppresso Soleimani ma di fatto non puo’ porre rimedio alla ricaduta di tale decisione se non portandola alle sue estreme conseguenze, proprio quelle di una guerra atipica ma nondimeno esiziale con l’Iran. E’ una prospettiva tale da gettare nel panico tutti coloro che giudicano il conflitto asimmetrico nel Medio Oriente disastroso anche per nazioni che non figurano tra i contendenti, in primo luogo i Paesi europei. In particolare, sono pero’ coinvolti quegli stati che nel 2015 firmarono l’intesa nucleare tra Stati Uniti e Iran (JCPOA), che il Presidente Trump ha denunciato e abbandonato nel 2018. L’assassinio di Soleimani ha messo una pietra tombale su quell’accordo, che di fatto l’Iran aveva rispettato anche dopo la denuncia di Trump. Ed ora Trump ha rafforzato l’avversione interna in Iran di elementi di estrema contrari allo stop della produzione di materiale fissile per un possibile ordigno nucleare.
La reazione europea allo scatenarsi di eventi minacciosi per la pace e l’integrita’ del Medio Oriente ricalca il comportamento del passato, una sequela di rituali dichiarazioni retoriche. La Gran Bretagna, la Francia e la Germania, firmatari dello JCPOA, hanno convocato una riunione dei ministri degli esteri di vari Paesi affermando la necessita’ di “de-escalare” il confronto irano-americano ed esprimendo “profonde preoccupazioni”. E’ una presa di posizione priva di senso pratico ma indicativa dell’incapacita’ dei leader europei di scuotere l’Europa dall’impotenza che l’affligge da ormai troppo tempo. La realta’ sotto gli occhi del mondo e’ che l’America di Trump ha ripudiato la diplomazia (il Segretario di Stato Pompeo e’ la negazione dell’arte diplomatica) mentre gli europei, pur credendo nella diplomazia, sono privi di una strategia condivisa e non dispongono di alcuna efficace leva politica nello scacchiere mediorientale. Per contro, il presidente russo Putin ha ormai dato una decisa impronta, politica e militare, alla presenza russa. in termini di strategia nel quadro mediorientale, gli europei si sono preoccupati di mantenere una posizione di equidistanza tra Stati Uniti e Iran, non avendo altro modo di proteggere i propri interessi nella regione. E dire che avrebbero potuto offrire la loro partecipazione alla Operation Sentinel del Luglio 2019 che mirava a garantire il pacifico transito delle petroliere nello stretto di Hormuz. La protezione dei canali marittimi e’ prioritaria per l’Europa, inclusa l’Italia che riceve un terzo delle sue forniture petrolifere dal Golfo Persico.
Il problema della partecipazione europea agli impegni di sicurezza statunitensi non e’ risolto dall’invio di piccolo contingenti in Iraq e Afghanistan, che sono tutto men che una proiezione di potenza. L’Italia peraltro ha fatto meglio di molti altri sia per la consistenza del contingente (circa 900 uomini) sia per l’ottima qualita’ dell’addestramento delle forze irachene e afghane. Fatto sta che quei pochi alleati che hanno inviato un contingente minimo lo hanno fatto obtorto collo mentre i loro governi hanno in pratica adottato una politica di equidistanza tra Stati Uniti e Iran.
Non altrimenti si spiega la loro continua raccomandazione a favore dell’intesa nucleare quando di fatto si sono astenuti dall’accogliere le richieste iraniane per una cooperazione finanziaria e commerciale in qualche modo sottratta alle sanzioni americane. Dopo l’assassinio del generale Soleimani e la reazione iraniana, praticamente telefonata in anticipo ed attuata con uno scenografico lancio di missili, e’ assai improbabile che gli alleati europei riescano a rianimare il rispetto dell’intesa JCPOA da parte di Teheran. Gli europei sono ostaggi di una situazione estremamente pericolosa ma per molti versi assurda a motivo di una strategia americana che da una parte stringe il nodo scorsoio sull’Iran e dall’altra cela l’intenzione di uscire dalla palude mediorientale, un passo che finirebbe col sancire il predominio regionale dell’Iran. La strategia iraniana e’ invece perfettamente chiara, segnala William Burns del Carnegie Endowment: “mantenere i clerici al potere, tenere in vita il progetto imperiale, ed estromettere dal vicinato i nemici giurati, in primo luogo l’America”. Ed infine, la maggiore conseguenza dell’assassinio di Soleimani e’ che rende l’Irak ancora piu’ vulnerabile all’influenza iraniana, tanto piu’ probabile quando le forze americane dovessero essere ritirate. In questa ottica, la presenza di contingenti esteri non puo’ assistere un processo di stabilizzazione dello stato islamico in Irak. L’Italia, la Germania e gli altri Paesi NATO hanno ormai dichiarato la loro priorita’, quella di assicurare la sicurezza, vale a dire l’incolumita’, delle loro truppe. Qualora Trump dovesse effettivamente disporre uno sganciamento dal calderone di conflitto mediorientale, in funzione della propria rielezione, gli europei sarebbero costretti a fare affidamento sull’Iran al fine di propiziare il rientro delle loro unita’. A questo punto, e’ evidente, dovrebbero pagare un prezzo a Teheran, anche se non soprattutto per assicurarsi garanzie iraniane per la neutralizzazione di fonti terroristiche.