Nel marasma di conflitti e tensioni che agitano il panorama internazionale, e’ giunto
il momento di chiedersi quale sara’ il futuro della “cittadella europea”. Tutto lascia
pensare che non sia un buon futuro, assediata come e’ da due potenze mondiali, la
Cina – che attacca l’Europa per rafforzare un predominio commerciale nel mondo –
e la Russia, che persegue una politica di disgregazione dell’Europa unita per ragioni
geo-strategiche collegate al rafforzamento delle sue frontiere all’est europeo. Le
ansieta’ della “cittadella europea” sono intensificate da due gravi sviluppi: il dramma
che si consuma in Inghilterra con l’esecuzione della disgraziata scelta del Brexit e la
scellerata politica del Presidente Trump nei confronti dei tradizionali alleati europei
dell’America, ma soprattutto della Germania. In breve, sembra che tre maggiori
centri di potere – Stati Uniti, Cina e Russia – siano solidali nel praticare in Europa la
politica del “dividi et impera”.
E’ palese che la maggiore inquietudine degli europei e’ quella che si rivolge al
versante americano, che con il presidente Trump ha abbracciato il principio che la
ricerca della sovranita’ nazionale e’ fine a se stessa. Paesi come l’Ungheria, la Polonia
e l’Ucraina sono ormai parte integrante di un gruppo di democrazie illiberali che
minacciano l’integrita’ politica e istituzionale dell’Unione Europea. Negli ultimi
settanta anni, l’Unione Europea ha funzionato sulla base di una sovranita’ condivisa
tra nazioni-stato ed ha agito con moderazione per controllare le passioni populiste e
con esse, il concetto della nazione-stato. Con Trump, ha prevalso una
interpretazione politica secondo cui l’influenza normativa dell’Unione Europea ha
fortemente ristretto lo spazio di autonomia delle nazioni-stato. Secondo Trump,
questa influenza va combattuta.
La conseguenza principale e’ la negazione del predominio di una potenza “benevola”
quale e’ sempre stata l’America. Forme leggere di autocrazia si vanno affermando
anche in Paesi democratici. E pensare che agli inizi degli Anni Novanta, in pratica
non tanto tempo fa, pareva che “la storia fosse finita”. Con l’avvento dell’ordine
liberale dopo la caduta del muro di Berlino, poco sembrava che potesse mai
cambiare. Ma non passava molto tempo perche’ la storia ritornasse, non entro
l’ordine liberale ma in un nuovo contesto generato dagli eccessi della
globalizzazione. In parole povere, nuove forze hanno spinto gli scambi e gli
investimenti a concentrarsi nelle aree economiche piuttosto che fra le aree
economiche.
E’ cosi’ che sono arrivati al potere gli Chavez, i Putin e gli Erdogan, che hanno saputo
far leva sul malcontento per smantellare i vincoli al proprio potere. Di fatto, non si e’
avuto un attacco visibile alla democrazia ma un attacco occulto che ha portato
all’autocrazia. E’ per l’appunto quello che e’ successo nei Paesi ex comunisti dell’Est ,
dove il potere questa volta non e’ andato ad un partito, come nel modello comunista,
ma ad un “uomo forte”. Un’altra differenza e’ che i regimi autoritari del nostro
tempo non mobilitano le masse ma coltivano gli acquiscenti. Molti oggi si chiedono
cosa succederebbe il giorno in cui i Paesi illiberali dovessero acquistare un peso
sempre maggiore nell’economia mondiale mentre quelli liberali tornerebbero dove
erano alla fine degli Anni Ottanta. E’ questa prospettiva ad animare il sospetto che
forme di autocrazia potrebbero emergere anche nei Paesi democratici.
L’atteggiamento degli Stati Uniti e’ comprensibilmente cruciale anche perche’ la
globalizzazione e’ in declino. L’America e’ sempre stata una nazione fondata sulla
crescita degli scambi ed investimenti. L’Europa unita e’ il piu’ grande mercato
economico del mondo e la Germania e’ il motore della crescita econonomica. Lo
sviluppo centrale e’ ora che il rapporto tra gli Stati Uniti e la Repubblica Federale
tedesca si e’ profondamente alterato. E’ passato il tempo in cui i tedeschi
accettavano il paternalismo dell’America. Ci ha pensato Donald Trump a
trasformare Stati Uniti e Germania in avversari. Lo zelante trumpista
nell’ambasciata americana a Berlino, Richard Grenell, ha creato un disdicevole
legame con l’estrema destra Alternativa per la Germania, rafforzando la sensazione
degli ambienti politici tedeschi secondo cui la Germania non puo’ piu’ fare
affidamento sulla solidita’ della relazione transatlantica. Il che contribuisce ad una
vera e propria ondata di anti-americanismo in Germania e complica il ruolo
determinante di Berlino nella comunita’ europea.
A sua volta, il dissidio tedesco-americano influisce sulla tenuta di una leadership
credibile e responsabile dell’America, una tendenza che richiedera’ tempo e
applicazione da parte della prossima amministrazione americana. Fortunatamente, i
tempi per decisioni fondamentali nel corso di governo sono piu’ brevi negli Stati
Uniti. Basti pensare alla celerita’ con cui l’Amministrazione Trump ha smantellato la
rete internazionale di accordi e l’ordinamento socio-economico degli otto anni di
presidenza Obama. E’ inconcepibile che la prossima amministrazione democratica
pressioni gli europei ad abbandonare il loro progetto comunitario, unico al mondo, a
favore di un nucleo di democrazie illiberali prigioniere di arcaiche ossessioni
nazionaliste.
Resta il fatto che al momento gli Stati Uniti e la Germania – e per estensione lo
zoccolo duro dell’Unione Europea (Italia purtroppo esclusa) – mantengono visioni
discordi circa i loro rapporti con la Cina e la Russia. E’ da dubitarsi che gli europei
cadano vittime della “debt trap diplomacy” di Pechino – come avviene in Italia, dove
un governo di disperati pressappochisti e’ pronto ad accogliere la Belt and Road
Initiative del presidente Xi – e che accettino, come sembra fare l’Amministrazione
Trump, il ritorno alla grande competizione di potenza come elemento geo-politico di
fondo. La “cittadella europea” e’ contraria alla imposizione di sovranita’ attraverso
interventi sulle popolazioni, sulle lingue e le religioni. Nel caso principe dell’Ucraina,
ritiene che la via verso la pace non passi attraverso sanzioni e vendite di armi, ma
tramite negoziati con Kiev, riforme costituzionali e la ricostruzione dell’Ucraina
orientale.
Tutti gli occhi sono dunque puntati sulla Germania, soprattutto perche’ e’ finita l’era
Merkel. Sotto la leadership della Merkel, la Germania aveva fatto molto di piu’ della
burocrazia di Bruxelles per realizzare gli ideali degli Schumann, Monet e De Gasperi.
Il governo tedesco avverte ora la necessita’, se non il dovere, di difendere gli
interessi tedeschi che per troppo tempo sono stati condizionati dallo strapotere
dell’America. Per Berlino, non dovrebbe essere piu’ tollerabile che le esportazioni
all’Iran siano sottoposte ai diktat di Washington o che le esportazioni di alluminio
siano regolate dallo U.S. Trade Representative. Occorre che la Germania, insieme con
la Francia, reagisca alle mutate circostanze globali che minacciano di sospingere il
suo declino insieme con quello della “cittadella europea”. L’intesa con la Francia di
Emmanuel Macron rientra sicuramente in un progetto europeo mirato ad ampliare
approcci multilaterali per la sicurezza, le migrazioni e le strategie ambientali. Ha
detto Macron: “l’Europa non puo’ diventare un balocco delle grandi potenze”. Ma
non e’ solo la Germania che e’ costretta a reagire ai danni e all’instabilita’ prodotta
dalla America First. La “cittadella europea” deve trovare il modo di imporre
disciplina all’interno dell’unione e politiche che tutelino i suoi interessi arrestando il
deterioramento della sua ricchezza e della sua integrita’ politica. Una “nuova”
America, con una rinnovata leadership morale e politica, certamente verra’ ma
intanto, non c’e’ tempo da perdere.
complimenti Marino! Giovanna Amaduzzi
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