L’onda blu dei democratici e’ risultata meno impetuosa rispetto alle aspettative ma e’ stata sufficiente per la conquista della Camera dei Rappresentanti mentre il presidente Trump e’ riuscito ad arginare le temute perdite repubblicane al Senato ed anzi aggiungere seggi con una reboante campagna personale. Di fatto, e’ gia’ cominciata la battaglia per le elezioni presidenziali del 2020 nelle quali Trump rappresentera’ un osso duro per il contendente democratico, che potra’ venire dai ranghi dei vecchi veterani come l’ex vicepresidente Biden o da quelli di giovani promesse come Beto O’ Rourke, che ha perso di stretta misura la corsa al seggio senatoriale del Texas ma si e’ imposto all’attenzione nazionale come erede del presidente Obama. Le elezioni midterm hanno confermato quel che si sapeva, che l’elettorato e’ spaccato a meta’, ma al tempo stesso hanno portato alla ribalta forze nuove nel campo democratico, soprattutto donne. Ci saranno 110 donne nella Camera dei Rappresentanti, una nuova soglia nello schieramento politico nazionale.
La decisione piu’ ardua e piu’ rischiosa all’indomani della consultazione elettorale e’ quella che dovra’ prendere la leadership democratica. In nuce, Nancy Pelosi, che ritorna Speaker, per quanto invisa da molti in seno al partito, presiedera’ ad un confronto tra quei democratici che favoriscono una strategia di collaborazione con il presidente repubblicano e lo zoccolo duro del partito che spinge per una offensiva parlamentare contro Trump a base di “subpoena”, citazioni e investigazioni. Una cosa e’ certa comunque, non ci sara’ una procedura di “impeachment” contro il presidente per il semplice fatto che la maggioranza repubblicana al Senato la bloccherebbe risolutamente.
Una conclusione da trarre dall’esito delle elezioni midterm e’ che gli americani propendono per un congresso bipartitico piuttosto che polarizzato. Molti dei nuovi rappresentanti democratici al congresso sono moderati. E’ vero invece il contrario nel campo repubblicano dove i moderati sono una razza rara, come dimostra la cieca fedelta’ al trumpismo di quei senatori e rappresentanti che sono riusciti a farla franca. C’e’ molto da fare, e di positivo per il Paese, qualora Trump e la leadership democratica dovessero fare causa comune, dal settore delle infrastrutture ad interventi nel campo della sanita’, a cominciare da una riduzione del costo dei farmaci, che negli Stati Uniti e’ decisamente osceno. Qualche progresso potrebbe venire anche in termini di immigrazione, essendo scontato che la Camera dei Rappresentanti non permettera’ al presidente di scorrazzare con norme e divieti tanto odiosi quanto illegali.
Nel suo primo tweet, il presidente ha esaltato un “grande successo” elettorale, dimostrando ancora ua volta di vivere in una sua “reality” iperbolica. In realta’, dovrebbe riflettere su alcuni sviluppi centrali dell’elezione midterm che non promettono nulla di buono per la sua rielezione. Primo, una netta maggioranza degli indipendenti ha votato contro di lui. Secondo, i democratici si sono imposti in sette su otto elezioni chiave proprio in quegli stati che nel 2016 avevano favorito il candidato reubblicano per poche migliaia di voti e per le deficienze di Hillary Clinton. Gli stati in questione sono la Pennsylvania, l’Ohio, il Michigan e il Wisconsin. E’ in questi stati, oltre alla Florida, che si giochera’ la partita del 2020. Chi scrive pensa che Trump la perdera’ e con essa la Casa Bianca.
Resta il quesito: andra’ a sinistra il partito democratico? La California rappresenta un bel punto interrogativo perche’ il neo eletto governatore Gavin Newson e’ favorevole a realizzare programmi cari alla sinistra, da un’assicurazione medica finanziata dallo stato ad una scuola materna universale. In California, Newson e’ stato l’alfiere della resistenza al presidente Trump. Ed ancora, un messaggio importante viene dalla conquista democratica di cinque governatorati, incluso quello del Wisconsin, dove il governatore repubblicano Walker, malgrado il poderoso aiuto di Trump, ha fallito la rielezione.
Una risposta significativa circa la futura strategia dei democratici derivera’ dall’uscita dell’inquisitore speciale Mueller, che tra breve fara’ conoscere le prime risultanze della sua inchiesta sulla collusione tra agenti russi e l’organizzazione elettorale di Trump nel 2016. Per il momento, una deduzione e’ scontata, che con la Camera in mano ai democratici, Trump non potra’ permettersi di licenziare Mueller. Se lo facesse, la maggioranza democratica della Camera non mancherebbe di lanciare una controffensiva accusando il presidente di ostruzione del corso della giustizia. Di una simile accusa, come noto, fece le spese il presidente Nixon.
Obiettivamente, Trump ha molte carte in mano nella contesa presidenziale che si e’ immediatamente aperta. La sua prorompente cavalcata della vigilia elettorale ha permesso ai repubblicani di affermarsi nella Florida, di disarcionare tre senatori democratici che detenevano il seggio in stati dominati dai repubblicani (Heitkamp nel North Dakota, McCaskill nel Missouri e Donnelly nell’Indiana) e di salvare il sen. Ted Cruz nel Texas, quel Cruz che aveva ripetutamente oltraggiato Trump nella contesa per la candidatura repubblicana del 2016, salvo poi a supplicare di recente il suo intervento per essere rieletto.
Per i democratici, non e’ stato uno tsunami ma l’onda blu ha prodotto una maggioranza di piu’ di 222 seggi alla Camera dei Rappresentanti, per la prima volta dal 2010. In termini di suffragi nazionali, il partito democratico e’ prevalso con sette punti percentuali, un margine paragonabile a quello con cui George W. Bush conquisto’ la Casa Bianca trent’anni fa. Nelle elezioni per il Senato, i democratici erano sfavoriti perche’ dovevano difendere ventisei seggi senatoriali, dieci dei quali in stati dove Trump aveva vinto nel 2016.
La contesa al Congresso e’ destinata ad esplodere attorno alle appropriazioni di bilancio in quanto il presidente Trump minaccia di non firmare se la camera dovesse fare ostruzionismo in merito al controverso muro con il Messico, una sua fissazione. In pratica, si vedra’ ben presto che aria tira nel senso di un possibile politica bipartitica di compromesso. I democratici si presentano con un’agenda che ha tre punti salienti: sanita’, infrastrutture e educazione. I repubblicani non hanno un’agenda vera e propria, ma devono adeguarsi alle pretese del loro presidente, in fatto di emigrazione, di sicurezza e di misure fiscali che gia’ gonfiano il disavanzo federale. Nella sua prima conferenza stampa dopo le elezioni congressuali, il presidente Trumph ha elargito un sorprendente panegerico di Nancy Pelosi giungendo ad affermare che merita il mandato di Speaker che ricevera’ nei prossimi giorni. Trump si e’ persino spinto ad affermare che ci sara’ “meno gridlock” ovvero meno paralisi legislativa e che collaborera’ con i democratici per una legge di sgravi a favore della classe media.
Per quanto riguarda infine la politica estera, il campo di battaglia al quale gli alleati e partner dell’America sono maggiormente interessati, e’ facile previsione che il presidente Trump continuera’ a sconvolgere il panorama internazionale esercitando aggressivamente i suoi poteri presidenziali. La maggioranza democratica non avra’ altra scelta che opporsi a quelle iniziative presidenziali che compromettono la ricerca di soluzioni pacifiche cominciando dalla tragedia dello Yemen, devastato dalle bombe prodotte in America e vendute ai sauditi. Il maggior contributo che ci si puo’ attendere dai democratici e’ quello in direzione di una politica che affronti le conseguenze del mutamento del clima e che promuova un “inclusive military” ossia forze armate aperte a tutti, senza le discriminazioni di genere forzate dal presidente. In ogni caso, i democratici apriranno inchieste sulle connessioni di Trump con la Russia e sugli effetti che gli affari dell’organizzazione Trump nel mondo hanno sulla politica estera degli Stati Uniti. La prospettiva di simili inchieste e di altre indagini – come l’accertamento delle dichiarazioni fiscali che Trump si e’ sempre rifiutato di rendere pubbliche – lasciano supporre che le possibilita’ di una collaborazione bipartitica al Congresso sono minime, in considerazione anche della profonda spaccatura ideologica confermata dall’elezione midterm. In poche parole, la battaglia contro la rielezione di Trump e’ gia’ cominciata. Sta ai democratici non cadere nel tranello in cui era caduta Hillary Clinton esasperando lo scontro con Trump a scapito di un programma sociale ed economico con chiari benefici per moderati e independenti. Piu’ importante ancora e’ che il partito democratico rinnovi la sua leadership mettendola in grado di respingere colpo per colpo gli attacchi di un formidabile lottatore politico come Donald Trump.