UN RICCO FINANZIERE CON SPINA DORSALE

E’ emblematico che la piu’ sensata disamina del danno gia’ inferto dal presidente Trump all’ordine costituzionale e alla stabilita’ politica dell’America provenga da un finanziere di Boston ben noto per le sue convizioni conservatrici. Il personaggio in questione, Seth Klarman, e’ di una statura paragonabile a quella di Warren Buffett. Quel che dice, in una rara intervista al New York Times, centra il problema della crisi costituzionale con un acume di cui fa difetto la stampa americana, per quanto questa possa essere soverchiamente critica di Trump. Due anni fa, Klarman era il maggiore donatore al partito repubblicano nel New England, con ben oltre sette milioni di dollari. Dopo l’avvento dell’amministrazione Trump, Klarman ha dirottato i suoi contributi finanziari al partito democratico al punto che prevede di spendere fino a venti milioni di dollari per sostenere candidati democratici come Beto O’Rourke che cerca di scalzare il sen. Cruz da un seggio senatoriale nella roccaforte repubblicana del Texas. La spiegazione offerta da Klarman dovrebbe ispirare una leadership democratica che appare titubante e spaccata in due dall’avvento dei cosiddetti “socialisti democratici”. Da fedele conservatore, Klarman non ha peli sulla lingua quando afferma che “il socialismo non e’ la risposta ai problemi di chiunque”.

La vera causale dell’intervento a suon di dollari e’ comunque il partito repubblicano ed in modo speciale i suoi rappresentanti al Congresso che Klarman bolla come “privi della spina dorsale” e con rare eccezioni “profili in vigliaccheria”. E’ inutile illurdersi che abbiano il coraggio di opporsi alla condotta immorale e disgregatrice del presidente repubblicano, avverte. E conclude: l’unica via per ribaltare il trumpismo e’ di riattivare il sistema costituzionale del “check and balance” ossia dei pesi e contrappesi fra i tre rami del governo americano. In parole povere, e’ imperativo riportare sotto il controllo del partito democratico almeno una parte della branca legislativa, la Camera dei Rappresentanti. C’e’ solo una via percorribile, quella del denaro. Gli americani votati alla democrazia devono insomma mettere mano al portafoglio e finanziare le campagne elettorali di candidati democratici. il numero dei candidati alla camera si e’ gonfiato in questi due anni in una misura senza precedenti grazie al concorso di donne e aspiranti neri. Ma il problema di fondo resta quello denunciato dal finanziere di Boston: troppi americani ricchi e critici dell’amministrazione preferiscono non uscire allo scoperto finanziando l’opposizione democratica. Dopo tutto, le misure fiscali varate dal congresso repubblicano li hanno favoriti. Per contro, la conflittualita’ esaperata dalla prevaricazione trumpiana e la conseguente disgregazione degli equilibri costituzionali esigono il ricorso a quello che piu’ manca, la spina dorsale per l’appunto.

In termini pratici, il partito democratico dovra’ fare ben altro oltre che sperare che coloro che possono mettano mano al portafoglio. Tanto per cominciare, dovra’ trovare candidati capaci di battere senatori e rappresentanti repubblicani arroccati al congresso proiettando una visione personale sul da farsi con un insieme di proposte e iniziative volte ad eliminare il male oscuro che grava su una massa di americani. Questi  hanno visto l’uno per cento moltiplicare la sua ricchezza mentre il reddito di lavoro della classe media non accenna a migliorare. L’uno per cento intasca il 20 per cento del reddito nazionale e possiede il 40 per cento della ricchezza. L’ottanta per cento degli americani vive da una busta paga all’altra. L’ex segretario al lavoro Robert Reich, oggi professore a Berkeley, ha avanzato una preoccupante prospettiva, quella che il crescente squilibrio tra la capacita’ di acquisto dei cittadini e la capacita’ di produzione dei lavoratori possa innescare una crisi economica analoga a quella del 2008. Su questo scenario incombe uno spettro, quello di una diseguaglianza economica che continua ad espandersi e che non trova riscontri in altri Paesi industrializzati. L’amministrazione Trump sta contribuendo alla prossima crisi attuando abbattimenti fiscali per le aziende e la classe ricca ma non per i comuni lavoratori, tagliando la spesa per Medicare e Medicaid oltre che per i programmi assistenziali, restringendo l’attuazione della Obamacare e limitando le prerogative dei sindacati. Il risultato e’ che la paga dell’americano medio e’ stagnante.

Resta il fatto che l’andamento favorevole dell’economia (grazie anche al prossimo Natale che stimolera’ fortemente i consumi) e’ l’ancora di salvezza della leadership repubblicana che non ha il coraggio di criticare l’operato di Trump al di fuori del favorevole mercato. Ma questo puo’ rivelarsi un vitello d’oro, un idolo che puo’ illudere mentre altra cosa e’ la realta’ di una gestione politica che porta allo sfascio istituzionale, politico e morale. Questo e’ lo sfondo di un’evoluzione dell’elettorato che dovrebbe farsi piu’chiara a Novembre quando gli elettori non voteranno la loro soddisfazione o meno per lo stato dell’economia ma la loro opposizione ad un governo che ha diviso la nazione. Il paradigma centrale non e’ la presunta conquista del partito democratico da parte di una sinistra progressista ma lo spostamento del centro di gravita’ politico verso quello che potremmo definire il centro-sinistra americano. Dal canto loro, i repubblicani hanno abbandonato il centro per l’estrema destra. In altre parole, la maggioranza di un elettorato sempre piu’ diverso propende per un governo piu’ attivo nel campo sociale che porti sotto controllo gli eccessi del libero mercato, incluso il disavanzo di oltre un trilione di dollari generato da una politica fiscale irresponsabile che ha reso ancor piu’ ricca la classe abbiente. E dire che da sempre i repubblicani si vantavano di essere il partito fiscalmente responsabile. Ed ancora, la spinta delle nuove leve di elettori non manchera’ di farsi sentire nella consultazione di midterm, sempre che democratici e indipendenti mettano le loro risorse a disposizione di aspiranti a cariche pubbliche animati dall’intenzione di ripulire la nuova “palude” spalancatesi sotto la presidenza Trump. Se e’ un finanziere conservatore di Boston a dirlo, vuol dire che qualcosa si sta finalmente muovendo in America.

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