L’AMERICA SOSPESA TRA LA PARANOIA E L’ESASPERAZIONE

Il nodo scorsoio che si stringe quotidianamente attorno al collo del presidente degli Stati Uniti – definito “incapace, instabile e amorale da Bob Woodward nel libro “Fear” – e’ ormai centrale nel dramma politico che grava sull’America. La realta’ in cui vive e opera Donald Trump e’ drammaticamente agli antipodi di quella che aleggia nella sede di un potere esecutivo allo sbando. Di fatto, gli americani sono profondamente divisi circa il destino del presidente Trump. Poco piu’ di un terzo d lo sostiene a spada tratta. La maggioranza lo considera il peggior presidente nella storia americana. La domanda cruciale e’ questa: in tanti voteranno a Novembre per i candidati democratici alla Camera dei Rappresentanti? La conquista democratica della camera infatti non mancherebbe di innescare un processo politico che pur in mancanza di un impeachment dovrebbe condurre alla sconfitta di Trump nella consultazione presidenziale del novembre 2020. Nel quadro di una nazione socialmente divisa, tre sono i gruppi che possono avviare un cambio di marcia ideologico oltre che di governo: le donne, i neri e gli hispanici. Le elezioni del prossimo novembre e quelle decisive del 2020 verranno decise infatti dall’afflusso alle urne di quei tre gruppi ed in particolare dei giovani millennial.

In America esiste da sempre una categoria pre-elettorale di indecisi che a conti fatti, se votano, decidono ben poco. Sotto il costante martellamento di eventi e feroci diatribe scatenate dagli eccessi di un presidente in preda ad istinti distruttivi, e’ impensabile che le ultime battute, dalla lettera anonima di un alto funzionario che rivela una forte resistenza interna all’operato di Trump, al libro denuncia di Woodward, non agiscano su coloro che pur nutrendo scarsa simpatia per il presidente non se la sentono di condannarlo in quanto beneficiati da una favorevole congiuntura economica.

In aggiunta, c’e’ Godot all’orizzonte, nella persona dello Special Counsel Robert Mueller, un repubblicano che e’ paradossalmente assurto al ruolo di paladino della resistenza anti-Trump. Gli americani si chiedono: cosa finira’ col fare Mueller? Convochera’ il presidente per una “interview”, un interrogatorio che la maggioranza degli esperti ritiene che sarebbe disastroso per il capo dell’esecutivo, sempre che questi accetti di rispondere ai quesiti dello Special Counsel. Sono molti, anzi troppi, gli interrogativi che circondano la conclusione dell’inchiesta svolta da Mueller sull’interferenza russa nelle elezioni del 2016 e sulle illegalita’ commesse da organizzazioni elettorali e privati cittadini coinvolti in quella campagna. Cosa conterra’ il rapporto finale dell’inchiesta? Potra’ Mueller ricorrere ad un subpoena nei confronti del presidente, obbligandolo in tal modo a rispondere ai quesiti dello Special Counsel? Oppure, con una decisione drammatica, proporra’ misure equivalenti ad un rinvio a giudizio del presidente in carica?    

Fino ad oggi, Mueller ha rinviato a giudizio 25 agenti russi per la loro azione volta ad influenzare l’esito delle elezioni del 2016. Ha istruito il processo a carico del c apo della campagna elettorale di Trump, Paul Manafort, condannato con otto capi di accusa, ed ora in attesa di un secondo processo con altri capi d’accusa tra cui lavaggio di denaro, attivita’ illegale di lobby per conto di enti esteri e false dichiarazioni allo FBI. Per certo, Manafort finira’ in carcere, a meno che Trump non decida di concedergli la grazia. Ed ancora, Mueller ha strappato la confessione dall’avvocato di Trump, Michael Cohen, che ha ammesso di aver violato le leggi che regolano le campagne elettorali nonche’ di aver effettuato il pagamento di 130.000 dollari all’attrice Stormy Daniel per occultare la relazione extra coniugale di Donald Trump.  Di grave per Trump c’e’ il fatto che Cohen ha ammesso di aver agito proprio su istruzioni di Trump allo scopo di influenzare la campagna elettorale. Cohen e’ solo l’ultima di una serie di collaboratori di Trump accusati di crimini federali e destinati a scontare pene detentive. Tra questi figura anche Michael Flynn, gia’ consigliere per la sicurezza nazionale.

In termini pratici, la conclamata volonta’ di Trump di “prosciugare la palude” di Washington ha finito con l’essere sommersa da inchieste e processi della magistratura, da dimissioni a valanga e da scandali amministrativi che hanno solo un precedente, di gran lunga meno pesante, nell’amministrazione di Warren Harding.  Quello che piu’ colpisce nell’amministrazione Trump – rilevano gli studiosi delle presidenze americane –  e’ la completa disonesta’ unita alla totale indifferenza ai fatti. Ed ancora, e’ impossibile che la massa degli americani, ad esclusione di quel terzo che venera la condotta disgregatrice di Trump, non si sia resa conto della spudorezza con cui Trump mente, dal giorno in cui vanto’ un numero ridicolmente alto di spettatori alla sua inaugurazione, a proposito di eventi facilmente osservabili. Uno storico presidenziale, Robert Dallek, ha rispolverato a proposito di Trump un vecchio detto italiano, “il pesce puzza dalla testa”, accusando il presidente di aver creato alla Casa Bianca una “cultura” che emana dall’alto incentivando la corruzione.

Donald Trump, come facilitatore della corruzione, sara’ certamente il bersaglio dell’azione politica dei democratici il giorno in cui questi strapperanno ai repubblicani il controllo della Camera dei Rappresentanti. I democratici pero’ dovranno portare alla ribalta esponenti giovani e capaci di rinnovare il dinamismo politico che il mondo ha sempre ammirato nell’America oltre che una massiccia partecipazione alla vita civica della nazione. Per il momento, resta aperto il determinante interrogativo dell’effetto che avra’ la presentazione della memoria conclusiva dello Special Counsel, sulla scia della dichiarazione dell’avvocato presidenziale, l’ex sindaco di New York Rudy Giuliani, secondo cui il presidente non si prestera’ ad essere interrogato circa il presunto collegamento tra la sua organizzazione elettorale e gli agenti russi. La questione resta comunque avvolta da dubbi circa un possibile compromesso, che e’ oggetto di negoziato. Resta il fatto che qualora Mueller decidesse di procedere con un subpoena, ossia un mandato di comparizione, lo scontro costituzionale potrebbe finire davanti alla corte suprema. Vale la pena di segnalare che con l’imminente scontata conferma del giudice Kavanaugh la massima corte pende ormai a favore di Trump e dei repubblicani. Nel frattempo, i repubblicani sono implacabili nell’attaccare la credibilita’ dello Special Counsel accusandolo di perseguire un’indagine partigiana che Trump non si stanca di stroncare definendola una “caccia alle streghe”.

Un’ultima riflessione non puo’ che riguardare il comportamento dei repubblicani al Congresso. Si illude chi pensa che possa nuovamente verificarsi una reazione paragonabile a quella che indusse molti influenti repubblicani ad abbandonare Richard Nixon al suo destino nelle fatali giornate del Watergate. Donald Trump ha impresso il suo marchio polarizzante sul partito repubblicano in una misura in cui e’ pressocche’ impossibile discernere una frattura tra la politica oltranzista del presidente e i tradizionali interessi del GOP. Il perno della dedizione a Donald Trump di una fascia dell’elettorato repubblicano e’ comunque quello della testarda convizione che il “deep state”, lo stato profondo della cabala anti-Trump nella capitale, architetta quotidianamente attentati al potere costituzionale dell’amministrazione Trump. L’articolo anonimo del Times non puo’ che rafforzare la radicata credenza di molti repubblicani circa l’esistenza di una congiura volta a minare le fondamenta dell’amministrazione Trump mediante ogni possibile strumento, dall’ impeachment al ricorso al 25esimo emendamento che permette di esautorare un presidente che venga giudicato “incapacitato” dal suo gabinetto.

L’America e’ sospesa insomma tra la paranoia di un presidente che sta portando ad un collasso funzionale della sua amministrazione e l’esasperazione dell’opposizione democratica che vede Trump abbarbicato ad una base elettorale istituzionale che non da segno di cedimento ad onta degli eccessi presidenziali. Come detto in apertura, la partecipazione elettorale senza precedenti di donne, neri e hispanici puo’ ribaltare lo scenario a Washington ma i margini per neutralizzare Trump sono invero stretti.  

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