L’inutile sgomento dopo Helsinki

Per Donald Trump vale oggi il furore di Cicerone nella famosa accusa: “quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?” E’ un interrogativo che un numero crescente di americani comincia a porsi a distanza di soli quattro mesi dalle elezioni midterm che potrebbero impartire una mazzata alle speranze di rielezione di Donald Trump, il presidente che ha compromesso in misura drammatica la politica estera degli Stati Uniti. Ne sono testimoni, oltre agli americani, gli stessi alleati europei, accusati da Trump di essere “un nemico” degli Stati Uniti, a cominciare dalla Germania alla quale il presidente americano ha riservato l’epiteto di essere “totalmente controllata dalla Russia”. Ma quel che piu’ colpisce e’ l’impudenza con cui Trump, a distanza di pochi giorni dalle denunce di interferenza russa nelle elezioni del 2016 sporte dall’inquisitore speciale Mueller e dalla intelligence americana, ha dichiarato di credere alla dichiarazione di innocenza del presidente Putin.

I commentatori americani avanzano ormai una spiegazione quanto mai convincente per il comportamento del presidente americano, quella che alla base di una condotta volta a punire gli alleati e a giustificare Putin, il vero nemico dell’America, ci sia un preciso disegno politico legato ai sentimenti anti-europei di una massa sufficientemente ampia di americani. E’ penoso, ma occorre riconoscere che la destra conservatrice americana e’ da lungo tempo animata da un profondo scetticismo nei confronti dell’Europa ed in modo speciale dall’avversione agli ideali socialdemocratici che la stessa destra ha sempre accomunato al comunismo. L’euroscetticismo di tanti americani e’ stato, in una certa misura inconsciamente, nutrito dall’amministrazione Bush, che aveva dovuto registrare l’opposizione dei maggiori alleati europei, eccezione fatta per la Gran Bretagna, all’invasione dell’Irak. Non vi e’ dubbio infatti che l’antipatia della destra americana verso un movimento super-socialista in Europa ha le sue radici nella convinzione che gli europei minacciano o comunque detestano il dominio globale degli Stati Uniti.

Da questa preoccupante ottica americana, il discorso si allarga alla visione d’assieme dell’Unione Europea che la destra americana giudica alla stregua di una forsennata strategia di imposizioni da parte delle autorita’ centrali di Bruxelles sulle politiche economiche e sociali dei Paesi membri. La fatale rottura della Brexit e l’ascesa di movimenti nazionalisti negli stati gia’ comunisti hanno chiaramente finito con l’esacerbare tale visione. Sorge quindi il dubbio che Donald Trump abbia veramente in animo l’intento di scardinare l’Unione Europea e di favorire l’instaurazione di governi a forte spinta nazionalista, anti-immigratoria e decisamente anti-liberali. Non altrimenti si spiega, osservano gli osservatori americani, l’accettazione della politica di Putin che fornisce appoggio finanziario e retorico ai governi di estrema destra dell’Europa Orientale, primi fra tutti Polonia e Ungheria. A complicare le cose ci si mette anche la stampa americana che dipinge a fosche tinte il futuro politico della stessa Italia, associandola al Fronte Nazionale francese ed al Partito della Liberta’ in Austria.

Un’ipotesi che lascia perplessi ma che contiene un fondo di verita’ e’ che l’etichetta di “nemico” che Trump ha affibbiato all’Unione Europea con motivazioni commerciali e tariffarie sia in effetti una “red herring”, ovvero un elemento di distrazione che induce a false conclusioni, mentre si rafforza il sospetto che Trump abbia deciso di lanciare un assalto ideologico alle istituzioni e ai valori europei come parte della sua opera di smantellamento di istituzioni e valori americani.

Tra le tante conclusioni che si possono trarre dallo scadimento dei rapporti tra l’America e l’Europa sotto l’egida di Trump spicca il preoccupante scenario di uno sconquasso dell’alleanza atlantica, ancora della solidarieta’ occidentale.  In mancanza di una presa di posizione del segretario alla difesa Mattis (per quanto sia evidente il suo sconcerto), la causa degli interessi nazionali americani e’ ormai propugnata dai servizi di intelligence, assaliti dal capo dell’esecutivo con una spregiudicatezza che non ha precedenti nella storia politica americana. Il mondo ha assistito allo spettacolo di un presidente che ha respinto i risultati delle indagini dei suoi servizi di intelligence – che incidentalmente fanno capo a funzionari da lui stesso nominati – a favore dei prevedibili dinieghi del presidente russo. Degna di nota per la sua asprezza e’ stata la reazione dell’ex capo della CIA John Brennan che e’ giunto a definire il comportamento di Trump ad Helsinki “l’equivalente di un tradimento”. L’intera comunita’ dei servizi segreti si e’ unita insomma ai democratici nel denunciare un presidente che antepone il suo interesse a blandire Putin agli interessi nazionali dell’America. E’ una “catilinaria” in piena regola ma i suoi effetti sono condizionati dal verdetto delle urne nel prossimo novembre.

Per quanto un certo numero di esponenti repubblicani abbia lamentato pubblicamente lo spettacolo offerto dal loro presidente ad Helsinki, un sondaggio di pubblica opinione rivela che il 68 per cento dei repubblicani appoggiano la politica del “provocatore capo”, come Trump viene frequentemente definito.  Trump si e’ dimostrato un maestro nell’intorbidare le acque e l’invito rivolto a Putin di venire a Washington in autunno, proprio alla vigilia delle elezioni midterm, risponde al suo modus operandi diretto a riscuotere il costante appoggio di quella base. In ultima analisi, alla maggioranza degli americani e’ certamente venuta meno la pazienza ma quel che conta e’ che l’ira dei democratici e lo sdegno di molti repubblicani non scalfiscono l’appoggio della base conservatrice e le convinzioni di un presidente che non risponde agli interessi della nazione ma esclusivamente alle sue convinzioni disgregatrici. Analogo discorso vale per gli alleati europei in preda a giustificata indignazione per il venir meno dell’impegno statunitense all’alleanza transatlantica. E’ giunto il momento di chiedersi perche’ il presidente Trump agisca come fa nei confronti dell’Europa interpretando la noncuranza di una massa di americani come accettazione di una politica che presta una sempre minore attenzione agli interessi europei. Trump, del resto, lo ha fatto capire: gli Stati Uniti possono abbandonare in quasiasi momento il loro rapporto con l’Europa. Dopo la disastrosa comparsa europea del presidente Trump e la sceneggiata di Helsinki, dichiarazioni come quella fatta a suo tempo dal cancelliere Merkel secondo cui “e’ giunta l’ora per l’Europa di prendere in mano il proprio destino” lasciano il tempo che trovano e mancano completamente l’obiettivo di contrastare l’azione di Trump. La politica dell’America e’ quella che e’ perche’ Donald Trump e’ presidente. Le assicurazioni sotto banco di alti funzionari che la politica degli Stati Uniti non abbandona la solidarieta’ atlantica e la pubblica resistenza anti-Trump dei servizi di intelligence non alleviano l’obbligo per gli alleati europei di ricercare la coesione e l’unita’ di intenti necessari per rinegoziare il loro rapporto con gli Stati Uniti. E’ una responsabilita’ che tocca agli europei e non ad un presidente degli Stati Uniti manifestamente irresponsabile.  Sempre che l’elettorato americano lo consenta

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