Per gli europei che si chiedono angosciati come abbia fatto Donald Trump a prendere una decisione che rappresenta uno dei maggiori errori strategici dell’America (dopo la guerra nel Vietnam e l’invasione dell’Irak) la risposta e’ questa: la decisione di Trump non ha nulla a che vedere con la struttura e il futuro dell’intesa nucleare con l’Iran, ma riflette unicamente il disprezzo della diplomazia da parte di Trump e degli ultra-conservatori schierati con lui oltre che l’ossessione di distruggere ogni realizzazione del suo predecessore, l’odiato Barack Obama. Dal giorno in cui era stato eletto presidente, Donald Trump aveva il potere di distruggere unilateralmente l’accordo e di farsi beffa degli alleati e del mondo ansioso di evitare un’altra catastrofe. La tracotanza con la quale il presidente americano minaccia pesanti penalita’ per gli alleati, qualora questi non osservino le nuove sanzioni da lui imposte, non puo’ che condurre all’isolamento degli Stati Uniti sul piano globale ma soprattutto alla realistica conclusione che l’America, la potenza che veniva considerata garante della pace e della sicurezza, non e’ piu’ affidabile in fatto di mantenimento degli obblighi assunti nel mondo. La perdita di credibilita’ e’ cominciata con la decisione di Trump di rinnegare gli accordi di Parigi per il clima e si e’ accentuata con l’uscita dalla Trans Pacific Partnership.
Il punto centrale che contribuisce alla perdita di credibilita’ dell’America e’ che a tutti gli effetti sono gli Stati Uniti, e non l’Iran, a violare tecnicamente i termini dell’intesa nucleare. Spetta adesso agli alleati decidere se approfittare del periodo di tempo richiesto dal rinnovo delle sanzioni per negoziare con l’Amministrazione Trump un accordo collaterale che soddisfi l’ultimatum di Trump per la cessazione dello sviluppo missilistico in atto nell’Iran e delle presunte attivita’ di Teheran in appoggio al terrorismo. La possibilita’ che l’Amministrazione Trump agisca di conserva con gli europei per attuare una “coalizione globale” in funzione di un nuovo accordo con i termini imposti da Trump non e’ altro che l’ultima chimera. L’Iran non ha alcuna intenzione di tornare al tavolo di negoziato ma soprattutto non ha alcun motivo di fidarsi degli Stati Uniti ne’ purtroppo della parola degli alleati come fiduciari di un nuovo patto.
La denuncia dell’Iran e’ tanto piu’ pericolosa per la pace e la stabilita’ del Medio Oriente in quanto per molti versi spalanca una situazione simile a quella che venne a crearsi all’indomani della disastrosa decisione di invadere l’Irak, senza che a Washington venisse allestita una strategia politica per gli eventi successivi alle operazioni militari. E’ importante ricordare, a tale proposito, che a stretto giro di tempo dopo la distruzione dell’Irak si apriva un altro conflitto, questa volta con lo stato islamico ed altri gruppi terroristici, con il risultato di destabilizzare l’intera regione fino a scatenare la guerra civile nella Siria.
L’imposizione di nuove pesanti sanzioni a carico dell’Iran portera’ nuove catastrofiche conseguenze nella regione per il semplice fatto che l’Amministrazione Trump, come a suo tempo quella di George W. Bush, non ha alcun piano concreto su un corso di azione dopo l’abbandono dell’intesa nucleare con l’Iran. Ma un sospetto e’ piu’ che giustificato, e gli alleati europei certamente ne sono consci. Il vero piano per Teheran e’ quello del cosiddetto “regime change”, l’eliminazione della teocrazia iraniana. Gli apostoli del cambio di regime sono gli stessi che architettarono l’invasione dell’Irak con il sublime proposito di portare la democrazia in quella terra scartando deliberatamente la convenienza di salvaguardare una politica di contenimento. E’ questa stessa politica che viene ora a mancare nella fattispecie dell’Iran, dove una situazione di “brinkmanship” puo’ rapidamente passare dall’orlo dell’abisso nel baratro di un conflitto israelo-iraniano. Il primo ministro Netanyahu, ignorando gli appelli alla cautela degli stessi esperti ed ex funzionari israeliani, contempla un piano di attacco all’Iran, cominciando dalla Siria, dove gli iraniani hanno alcune basi, fino alle installazioni nucleari dell’Iran che sono da anni l’obiettivo primario di Israele.
Poco conta che l’Iran non ha intenzione di attaccare Israele proprio perche’ consapevole che avrebbe tutto da perdere. Poco conta ancora che l’Iran non ha missili da lanciare contro gli Stati Uniti e meno che mai di attaccare l’America. Stracciando il testo dell’intesa nucleare, redatto e implementato allo scopo di bloccare ogni tentazione iraniana di produrre il materiale fissile per una bomba atomica, Trump e i suoi fiancheggiatori sperano che l’Iran muova un passo provocatorio, tale da giustificare platealmente un’offensiva mirata a cambiare regime a Teheran. Troppi sono gli elementi in gioco che suffragano questa ipotesi. Da questo timore scaturisce l’obbligo per gli alleati europei di agire sulla leadership iraniana affinche’ continui a rispettare i termini dell’intesa nucleare evitando di reagire all’offensiva di Trump.
Gli Stati Uniti lo hanno gia’ fatto ed ora riprendono a farlo, col minacciare gli investitori internazionali affinche’ rinuncino a partecipazioni finanziarie e commerciali con l’Iran. E dire che l’intesa nucleare comportava un impegno degli Stati Uniti ad astenersi da simili ritorsioni. Adesso Trump torna alla carica nei confronti degli alleati europei che vedevano nell’Iran un partner commerciale. Tutto lascia pensare che gli alleati prenderanno tempo, nella speranza che Trump non riesca a imporre la sua narrativa secondo cui l’Iran – “il leader del terrorismo ad opera di uno stato” – e’ un pericolo non solo per l’America ma per il mondo intero. Gli unici che possono arrestare questa narrativa, prima che giunga a scatenare un conflitto, sono gli elettori americani. Questo e’ quanto si augurano segretamente i leader europei, in mancanza di una politica sorretta dalla necessaria spina dorsale.