Trump verso l’attacco all’ Iran

L’Unione Europea e’ presa tra due fuochi nella crisi che sta divampando tra Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita schierati in alleanza contro l’Iran. Da una parte si sforza disperatamente di non essere trascinata in una conflagrazione con l’Iran che diplomaticamente sembra inarrestabile. Il neo segretario di stato americano Pompeo ha gia’ fatto del dipartimento di stato un organo non e’ al servizio della pace ma un altro caposaldo del militarismo che ormai contrassegna la politica estera americana. Il suo incontro con il primo ministro israeliano Netanyahu, alla vigilia della sceneggiata con le “prove” delle presunte “bugie” dell’Iran, ha confermato che Pompeo condivide pienamente le intenzioni di Trump di stracciare l’intesa nucleare con l’Iran. La diplomazia americana e’ praticamente scomparsa dalla scena. E’ ora che gli alleati europei lo riconoscano e si dispongano ad agire di conseguenza. Questo e’ il primo aspetto dell’impotenza europea di rallentare la corsa verso un’azione militare contro l’Iran che avrebbe violente ripercussioni in tutto lo sacchiere mediorientale. Il secondo aspetto che affligge l’Europa e’ il nascente asse Macron-Merkel che agisce senza riguardo agli interessi generali dei membri dell’Unione Europea. Di fatto, i due capi di governo hanno permesso a Trump di sfruttare le divergenze o quanto meno le diversita’ di opinioni in seno all’Unione con il risultato di svelare la supina accettazione del corso di azione aggressivo nei confronti dell’Iran.

Piegandosi ad offrire concessioni a Trump, aderendo in pratica all’imposizione di restrizioni ancor piu’ severe ai danni dell’Iran, i due governanti europei non hanno ottenuto alcuna concessione ne’ hanno miniamente influito sulla decisione di Trump di ritirarsi dall’intesa nucleare con l’Iran. Non solo Macron e Merkel sono tornati a casa con un pugno di mosche in mano, ma hanno di fatto rinunciato allo strumento di persuasione che potevano brandire parlando per conto di un’Europa unita. Vero e’ che la stessa Europa e’ tutto meno che un fronte unito, assillata com’e’ dalla mancanza di rispetto verso le istituzioni e le norme comunitarie da parte dei suoi membri ad est.

Ancor piu’ nocivo per la credibilita’ europea e’ il fatto che il sostegno conferito indirettamente a Trump complica enormemente il quadro dei rapporti con Teheran che l’Europa si sforza di mantenere in piedi, non soltanto per esigenze di equidistanza politica ma per ovvi interessi commerciali. E’ impensabile infatti che la duplicita’ europea non abbia ripercussioni all’interno della leadership dell’Iran, in quanto danneggia l’immagine e l’influenza di uomini chiave come il presidente Hassan Rouhani ed il ministro degli esteri Javad Zarif, che contavano sugli europei per mantenere in vigore gli accordi JCPOA. Ne’ e’ da sottovalutare l’effetto che la complicita’ europea potrebbe avere in altre capitali che avrebbero motivo di dubitare della possibilita’ di accordi con paesi europei succubi delle pressioni americane.  

Il problema di fondo per la diplomazia europea, e non gia’ per l’intesa speciale Marcon-Merkel, e’ come esercitare un ruolo indipendente dalla strategia di pressione Trump-Pompeo e di coinvolgere l’Iran in un dialogo costruttivo che induca gli Iraniani a mantenere inalterato il rispetto dell’intesa nucleare ma anche, se non soprattutto, a ridurre la sua presenza espansionistica in Siria che Israele considera alla stregua di una mortale minaccia ai suoi confini. La denuncia inscenata da Netanyahu sulla base di una voluminosa documentazione proveniente, a suo dire, da un magazzino segreto vicino Teheran ha certamente raggiunto il suo scopo principale, quello di portare acqua al molino di Donald Trump, deciso sin dagli inizi a farla finita con l’intesa nucleare negoziata da Obama. Se gli europei speravano che il segretario di stato Pompeo avrebbe tenuto conto della collaborazione degli europei in funzione di un accordo volto a riformare (fix it, nel gergo trumpiano) l’accordo JCPOA, il “power point” di Bibi Netanyahu dimostra ampiamente che la politica di forza israeliana conta molto di piu’ degli accorati appelli dei governanti europei.

L’annuncio che il presidente Trump fara’ il 12 Maggio deve mettere in moto un processo decisionale in Europa che associ tutti e 28 i membri dell’Unione Europea dinanzi alla decisione americana di imporre nuovamente pesanti sanzioni  a carico dell’Iran. Se l’Europa, piuttosto che il duopolio franco-tedesco fiancheggiato dall’Inghilterra, decidesse che il suo unico ruolo e’ di persuasione nei confronti di Teheran affinche’ non reagisca alle provocazioni di Trump, potrebbe in tal modo alimentare qualche speranza di stabilizzare la situazione. La partita che puo’ giocare l’Europa non e’ piu’ quella di salvare l’intesa nucleare ma di raffreddare quanto piu’ possibile un “hot spot” che sta per deflagare. In pratica, gli europei possono agire solo nel senso di far si’ che l’Iran risponda solo a parole. Il contenimento della crisi e’ molto difficile, ma al momento attuale non vi e’ alternativa. In questo quadro, e’ essenziale che gli europei indirizzino i loro sforzi a propagare il messaggio che contrariamente a quanto asserisce Netanyahu, l’Iran non persegue un programma di sviluppo dell’arma nucleare. Il mondo sa che l’Iran ha chiuso il suo programma nucleare nel 2003, un fatto accertato dagli stessi enti di intelligence americani e dalla AIEA.

In ultima analisi, comunque, vale porsi un semplice interrogativo: se oggi l’Iran avesse davvero in atto un tale programma, perche’ distruggere un accordo che mira ad arrestarlo? Ed ancora: se l’intesa nucleare e’ un disastro, come Trump ripete incessantemente, cosa intendono fare gli Stati Uniti ed Israele per impedire all’Iran di produrre un’arma atomica? Come pensano di “fix it”? Con una guerra, cambiando regime a Teheran? Gli scenari che potrebbero aprirsi sono invero spaventosi ma vi e’ uno spiraglio all’orizzonte, che gli americani dimostrino con il loro voto a Novembre di essere stanchi di condurre una guerra interminabile nel Medio Oriente ed ancora piu’ contrari ad aprirne un’altra per conto di Bibi Netanyahu.

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