Rodolfo Siviero e’ un nome poco conosciuto fuori dei circoli artistici fiorentini e di frequentatori della Galleria degli Uffizi. Il suo nome infatti appare spesso nel ricco museo fiorentino nelle etichette che illustrano brevemente l’autore dell’opera esposta e a volte la storia della stessa. “Recuperato da Rodolfo Siviero”, si legge. Un piccolo riferimento, ma di fatto una sublime testimonianza dell’opera di un uomo dai tratti rinascimentali che ebbi il piacere di conoscere a Washington nel 1963. Fu allora infatti che vennero formalmente restituite all’Italia due mirabili tavolette di Antonio Pollajolo che raffiguravano le fatiche d’Ercole. Rodolfo Siviero ricopriva l’altisonante incarico di Ministro Plenipotenzario della missione per le restituzioni delle opere d’arte trafugate dai tedeschi in Italia durante la Seconda Guerra Mondiale. La Kunstschutz tedesca, una branca militare incaricata da Hitler e Goering di asportare i tesori artistici dei musei, istituti e universita’ italiane, aveva fatto razzia di dipinti, sculture, intere biblioteche, gioielli e mobili antichi.
Le tavolette del Pollajolo, due piccoli dipinti tra i piu’ celebrati degli Uffizi, raffiguranti Ercole e l’Idra ed Ercole ed Anteo, avevano subito una sorte tanto strana quanto degna di un romanzo di cappa e spada. Erano state trafugate da un deposito segreto degli Uffizi a Montagnana, in provincial di Pistoia, e trasportate insieme ad altre nove opere a San Leonardo di Passiria, da un drappello di dodici soldati tedeschi che agivano per conto dalla Kunstchutz. Di questa prima fase della storia fa testo un promemoria del Colonnello Langsdorf, capo della Kunstchutz, al capo delle SS Heinrich Himmler. Sulla via della Germania, le preziose tavolette sparivano da San Leonardo di Passiria. Riaffioravano soltanto nel 1962, a Pasadena, in California, nella casa di un ex soldato della Wehrmacht, un certo Johann Meindl. Questi aveva fatto parte del drappello che aveva trasportato le opere d’arte trafugate. Le indagini sul suo conto avevano appurato che il Meindl era stato militare a Bologna, a Montagnana e Marano sul Panaro.
La riapparizione delle tavolette in California mise in moto l’instancabile Rodolfo Siviero che calo’ su Pasadena come un falco. La scoperta delle tavolette era dovuta ad un artista di origine ungherese residente a Los Angeles, Arthur La Vinger. Di professione restauratore, era amico di Meindl e agendo per suo conto offri’ le tavolette in vendita allo stato italiano. La prima mossa italiana, quella di richiedere alla magistratura americana il sequestro e la restituzione delle opere, era andata a vuoto; la magistratura aveva deciso di non procedere e si correva il rischio che i coniugi Meindl venissero riconosciuti come legittimi proprietari. Vista la mala parata, Siviero ricorse alle astuzie di un agente segreto, quale era stato prima della guerra, minacciando Meindl di estradizione in Italia sulla base degli accordi con gli Stati Uniti. Le pressioni sui Meindl e sul loro intermediario si fecero cosi’ intense che le discussioni sfociarono in un primo negoziato per la possibile vendita delle tavolette, come richiesto dal La Vinger. Siviero pero’ tenne duro e insistette che le opere fossero consegnate subito e senza alcuna ricompensa. Il tira e molla circa le condizioni per la cessione delle tavolette ando’ avanti per settimane. Tra l’altro, il Meindl sosteneva che i dipinti gli erano stati donati da una signora di Monaco, Josephine Werkmann. Sorprendentemente, Siviero riceveva un’altra segnalazione, che altri dipinti del deposito di Montagnana erano per l’appunto finiti a Monaco, dove erano custoditi presso un macellaio locale nella Klenzestrasse. Questa imbeccata dava il via ad un’altra frenetica ricerca che rintracciava il commilitone bavarese di Meindl, certo Hans Lindermayer, e permetteva di recuperare altri cinque dipinti trafugati dal deposito di Montagnana. Tra essi figuravano l’autoritratto di Lorenzo di Credi ed il Cristo Deposto del Bronzino.
La sorte favoriva Siviero per un altro verso. Il restauratore La Vinger moriva all’improvviso e i due Pollajolo venivano affidati al Los Angeles County Museum che li metteva temporaneamente in mostra. Le ultime scaramucce legali con il nuovo avvocato dei Meindl non intaccavano l’inevitabilita’ della restituzione delle tavolette, che entravano in possesso di Siviero alla chiusura della mostra nella serata del 20 gennaio 1963. La mattina dopo, Siviero prendeva il primo volo per Washington con i Pollajolo nella borsa a mano. La complessa drammatica vicenda del recupero delle opere si concludeva con una cerimonia formale presso la National Gallery of Art di Washington, alla presenza del capo della Corte Suprema Earl Warren e dell’Attorney General Robert Kennedy.
Personalmente, non dimentichero’ mai quel giorno perche’ al momento di ringraziare gli Stati Uniti per la collaborazione ricevuta nel recupero delle opere, Rodolfo Siviero mi chiamo’ al podio perche’ gli facessi da interprete. L’interpretazione procedeva a gonfie vele finche’ Siviero, da buon fiorentino, non invoco’ un verso dantesco per rendere omaggio alla virtu’ della risolutezza con cui l’Italia lottava per riportare in patria le opere trafugate dai nazisti. “Che tiene ancor del sasso e del macigno”, recitava la citazione, tale da mettere in un certo imbarazzo l’interprete che tutto si aspettava meno che un verso di Dante. Me la cavai con una perifrasi che alludeva appunto al coraggio e alla tenacia con cui Siviero aveva vinto la sua battaglia. Senza volerlo, il mio fu un riconoscimento improvvisato che diede la misura della sprezzatura di Rodolfo Siviero, conosciuto come lo “007 dell’arte”. In realta’, Siviero era molto di piu’ di un investigatore abile e determinato. In lui erano incarnate le doti di un forte umanesimo, la spregiudicatezza che accompagna l’esercizio di un diritto ma anche la sagacia nel ribaltare situazioni avverse. La sua era una vera lotta continua non soltanto per recuperare il maltolto ma per sconfiggere gli interessi burocratici e il business dei mercanti dell’arte che avevano tratto cospicui profitti dall’esistenza di un sottobosco di opere d’arte rubate o sparite per cause varie durante il conflitto. Agendo da diplomatico Siviero aveva gettato le basi per una ricerca sistematica delle opere scomparse dando impulso ad una collaborazione italo-tedesca formalizzata da un incontro a Treviri nel Dicembre 1957 e dall’istituzione di una commissione congiunta. Cio’ facendo, Siviero si era procurato le antipatie e l’ostruzionismo di ambienti che mal tolleravano le sue iniziative, tanto che il governo italiano non aveva neppure nominato i due rappresentanti che dovevano far parte della commissione congiunta. Siviero era particolarmente abile nell’operare in maniera clandestina, convinto com’era che le pressioni su certi ambienti sortivano i migliori risultati se avvolte nell’ombra, celate all’interferenza dei burocrati.
Tra i successi di Rodolfo Siviero ebbi modo di raccontare quello del recupero di un dipinto attribuito a Raffaello, il ritratto di Maria della Rovere, nipote di Papa Giulio II, che era stato acquistato a Genova dal Direttore del Museum of Fine Arts di Boston ed illegalmente esportato dall’Italia. L’azione legale intentata da Siviero aveva costretto il Dipartimento del Tesoro, da cui dipendeva l’Ufficio delle Dogane, ad intervenire. Il Treasury non mancava di dare una mano al museo di Boston concludendo che il museo non era “responsabile” dell’importazione illegale del dipinto. La responsabilita’ ricadeva sul suo Direttore, Perry Rathbone, che nel Luglio 1969 si era recato a Genova con il Chief Curator del museo, John Sfarzesky, ed un amministratore, John Goelet. I tre avevano pagato un mercato d’arte genovese, Ferruccio Bossi, ed il giorno seguente lo Sfarzesky era partito per Boston con l’opera raffaellesca. Nel mese di Dicembre, il museo annunciava con grande fanfara pubblicitaria l’acquisizione di un “genuino Raffaello”. Sfortunatamente, non aveva fatto i conti con Rodolfo Siviero, che intentava un giudizio per l’illegale esportazione, ottenendo il sequestro dell’opera su ordine di un Grand Jury. Il museo perdeva i 250.000 dollari versati a Bossi, anticipo sul prezzo di vendita che secondo il New York Times era di 1.400.000 dollari. Siviero spargeva sale sulla ferita degli amministratori bostoniani quando commentava, con sottile ironia, che il dipinto era piu’ probabilmente opera di Lorenzo Costa, un artista contemporaneo di Raffaello. Ed aggiungeva: “Anche se fosse un falso, e’ di nostra proprieta’, e noi lo rivogliamo indietro”. Ma l’ironia piu’ pungente era questa: se al momento di importare il dipinto negli Stati Uniti il direttore del museo avesse dichiarato alle dogane che recava con se’ un dipinto della scuola di Raffaello, gli organi federali non avrebbero potuto intervenire.
Queste ed altre storie di riusciti colpi di mano mirati a recuperare il patrimonio artistico italiano facevano di Siviero un personaggio leggendario. Rodolfo Siviero era soprattutto un uomo di cultura, con un ingegno che sin dal primo momento mi parve rinascimentale nella forma ma illuministico nella sostanza. Ne diede prova scrivendo un libro su una missione in Russia intrapresa nel 1960, anche questa volta a ricercare e recuperare opere d’arte. Nel regalarmi una copia del libro, recante il titolo “Viaggio nella Russia di Krusciov”, Siviero descrisse l’Unione Sovietica con animo aperto, evitando giudizi politici e preconcetti ideologici. La sua missione non aveva avuto alcun frutto perche’ i suoi interlocutori sovietici consideravano la questione delle restituzioni delle opere trafugate dai nazisti un argomento che andava discusso con la Repubblica Democratica Tedesca. Solo anni piu’ tardi si veniva a conoscenza dell’entita’ delle appropriazioni sovietiche di opere d’arte in Germania.
Incontrare Siviero nel suo ufficio di Via degli Astalli a Roma era come entrare in una ricca biblioteca dove ogni libro aveva un particolare valore umano oltre che letterario. Entrando nella sua casa di Lungarno Serristori, oggi conosciuta come Museo Casa Siviero, proprieta’ della Regione Toscana, ho provato la forte emozione di chi sente la presenza di un vecchio amico in un ambiente ricco di arte e altri pegni di grande cultura. Le opere che Siviero aveva acquisito durante molti anni, dalla nativita’ di Domenico di Zanobi all’autoritratto di Giorgio de Chirico in costume da torero, testimoniano l’eccezionale cultura storico-artistica di Siviero e in modo speciale la sua dedizione alla tradizione rinascimentale della sua amata Firenze. Soltanto il primo piano della casa e’ aperto da qualche anno al pubblico. Il patrimonio artistico di Rodolfo Siviero e’ ben custodito e la sua memoria (Siviero e’ scomparso nel 1984) vive per sempre, come la gratitudine di una nazione che grazie a lui puo’ oggi ammirare capolavori che sembravano inesorabilmente perduti.
Ercole e Anteo