Occupy Wall Street- e poi?

Occupy Wall Street. E poi?

Qualcuno giura che il movimento Occupy Wall Street ha aperto una terza era progressista negli Stati Uniti. Altri sono fortemente scettici che il movimento dei 99 per cento possa sottrarre potere ai poteri forti della finanza e dell’economia che dettano la formulazione delle politiche federali.
Ma quasi tutti sono d’accordo che, affinchè la protesta esplosa in America raggiunga i suoi obiettivi minimi, è essenziale che si elevi dallo stadio di grassroot, ossia dalle radici, ad un coinvolgimento politico ancorato ad una rappresentanza elettorale ed a gruppi di pressione.
In altre parole, è indispensabile che elettori, consumatori e studenti prendano coscienza della loro forza elettorale facendo leva su un’agenda politica volta ad arrestare la crescente ineguaglianza in America ed il predominio dei fondi privati nella politica nazionale.

Il futuro di Occupy Wall Street è tanto più imprevedibile se si riflette che tutto è cominciato quando una rivista garibaldina – Adbuster – ha lanciato l’idea di un accampamento, dell’occupazione di un parco e di un nome per la protesta, Occupy Wall Street per l’appunto.
La rivista, bimensile, esisteva da ventidue anni ed era la creazione di un certo Kalle Lasn, un esule dall’Estonia residente in una farm vicina a Vancouver. Da dove conduceva una crociata contro l’avidità dei consumatori che stava portando il mondo sviluppato ad una catastrofe ambientale.
La protesta assumeva inizialmente contorni anarchici nel Zuccotti Park di New York che nelle intenzioni di Lasn e dei suoi compagni di lotta doveva trasformarsi nella piazza Tahrir degli Stati Uniti. Ma poi nella piazza confluivano gli elementi più disparati della società americana, anche perchè il movimento aveva aperto un nuovo fronte nei social media, OccupyWallSt.org, che diveniva rapidamente il quartier generale elettronico del movimento.
Studenti laureati senza lavoro e sindacalisti si univano agli elementi anarchici e davano vita ad una General Assembly che cominciava a portare alla ribalta qualche leader.

Veniva così alla luce un manifesto, sotto forma di una bozza di lettera al Presidente Obama, in cui si chiedevano norme più restrittive del sistema bancario ed altre misure tra cui la formazione di un comitato presidenziale incaricato di far luce sulla corruzione in politica.
Le denunce dell’accampamento trovavano infine sfogo in una “Dichiarazione di Occupazione” che enunciava il principio cardine della protesta: “nessuna vera democrazia è realizzabile quando il processo politico è determinato dal potere economico”.
Malgrado le esortazioni degli attivisti benpensanti a produrre una lista di domande concrete, la costituente di Zuccotti Park non fruttava alcun documento tale da costituire una agenda politica o un programma di azione. Situazioni analoghe finivano col contraddistinguere gli accampamenti sorti come funghi in altre città americane, privi di leadership e di richieste specifiche.
Come era prevedibile, i sindaci davano ordine alla polizia di sgomberare. Gli scontri nello Zuccotti Park portavano all’arresto di oltre duecento attivisti. Ad Occupy Oakland si registravano varie teste rotte. Alidilà della baia, la polizia di San Francisco operava con più intelligenza. Ma il risultato era lo stesso: il movimento Occupy Wall Street veniva estromesso con la forza dalle piazze e trasferiva le sue operazioni nei web sites e nei social media.

Occupy Wall Street. E poi?Che succederà dunque dopo Occupy Wall Street? La prima domanda che sorge è questa: saranno in grado i suoi protagonisti di fare seriamente politica? Esistono precedenti che lasciano sperare che lo facciano.
Negli Anni Sessanta, gli attivisti della sinistra americana aderirono ai principi del partito democratico ed in particolare gli Students for a Democratic Society enunciarono le loro istanze nel Fort Huron Statement, scagliandosi contro il sistema politico che consolidava ”il potere irresponsabile degli interessi militari e del business”. Il movimento SDS raggiungeva risultati tangibili con l’opposizione al conflitto nel Vietnam ed alla politica federale rea di insensibilità dinanzi alla problematica dei diritti civili e della povertà.
La Nuova Sinistra non scompariva completamente ma preparava il terreno a quegli attivisti che entravano in politica con candidature al Congresso e alle amministrazioni statali e locali. In aggiunta, entravano nella scena politica nuovi gruppi di interesse con precise strategie di lobbying, di raccolta di fondi elettorali e di stimolo alle riforme. Il risultato più importante era l’influenza esercitata su una nuova generazione di politici sensibili alla nuova tematica della razza, dell’assistenza sociale e dei rischi degli interventi militari.

In tempi più recenti, un movimento che ha fatto sentire la sua voce è indubbiamente il Tea Party. È un movimento agli antipodi di Occupy Wall Street ma va riconosciuto che ha saputo mettere radici a Washington dopo aver imposto candidati in un sorprendente numero di contese elettorali. La maggioranza repubblicana alla Camera dei Rappresentanti èstata fortemente condizionata infatti dall’ostinato rifiuto dei rappresentanti di formazione Tea Party di accettare qualsiasi compromesso con i democratici, con la conseguenza deleteria della paralisi sull’elevamento del tetto del debito federale.

La variegata massa di proseliti di Occupy Wall Street non puo’ sperare di influire sul corso della politica nazionale senza prima stabilire una presenza organizzata a Washington, forzando il dibattito su quelle che dovrebbero essere le sue priorità: nuove direttive per eliminare o quanto meno ridurre drasticamente l’ineguaglianza insieme con il potere esercitato dal denaro privato nella politica.
In termini pratici, l’obiettivo del movimento è triplice: tassare i ricchi; porre fine alla guerra nell’Afghanistan ed altrove; imporre trasparenza ed efficacia all’azione di governo.
Sarà capace Occupy Wall Street di aprire le porte ad una nuova generazione di candidati, certamente incapaci di raccogliere i finanziamenti dei poteri economici costituiti, ma in grado di avvalersi dei social media che non costano nulla?
Sarebbe invero una transizione radicale. Ma richiede tempo. Basti ricordare che ci volle un decennio prima che la politica del New Deal rooseveltiano superasse la crisi della Grande Depressione e facesse piazza pulita degli abusi della cosiddetta Gilded Age nella quale i partiti politici servivano gli interessi dei grandi baroni dell’industria e della finanza.
Ristabilire la supremazia del voto elettorale al di sopra delle imposizioni delle lobbies non sarà facile. Occupy Wall Street è un lodevole tentativo, ma è troppo inconsistente e confusionario per decollare dal Zuccotti Park ed imporre quelle scelte che la società americana, in larghissima parte solidale con il movimento, richiede con crescente insistenza.
Ne è prova la disistima abissale degli elettori nei confronti di un Congresso che viene giudicato incapace di legiferare (Do Nothing Congress, un termine affibbiatogli a suo tempo da Harry Truman). In un senso reale, gli Stati Uniti condividono ormai il destino delle democrazie dell’Europa, chiamate a rinnovare le strutture politiche che non rispondono alle esigenze di società messe a dura prova dalla crisi economica e da architetture finanziarie che, occorre riconoscerlo, beneficano l’uno per cento rispetto al novantanove.

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