Obama e Romney. Due differenti abiti politici

Romney e ObamaQuel sette per cento di indecisi che, stando agli esperti demoscopici, deciderà l’esito delle prossime elezioni presidenziali in America non ha una scelta facile, ma almeno un termine di giudizio è certo: l’abito umano dei due candidati.

Obama è un’entità nota, si può votare contro di lui perchè l’economia stenta a riprendersi e troppi disoccupati pesano su Obama come un albatross, per dirla nel gergo politico americano. Oppure si può votare per lui perchè tutto considerato ha la sprezzatura di un presidente che si assume la responsabilità delle decisioni, felici o infelici che possano essere.

Nel caso di Romney, l’interrogativo al quale è difficile dare una risposta non è quello che verte sulle sue promesse elettorali, se cioè siano credibili o meno, e se la sua persona di businessman soddisfi il bisogno dell’America in questi frangenti, ma quello che concerne la sua figura di uomo politico. Perchè l’America, in fin dei conti, giudica il candidato presidenziale per il suo abito umano, per le emozioni e le speranze che esso suscita, per la simpatia che lo accompagna. Il problema di Mitt Romney è semplicemente la persona di Mitt.

Il divario di preferenze accertato dalle più recenti inchieste demoscopiche favorisce il presidente in carica in una misura che sembra assicurargli la rielezione. Ci si chiede quindi quali fattori abbiano determinato il passo indietro di Romney e la risposta non può che essere per l’appunto la persona di Mitt. Il video in cui Romney rimprovera al 47 per cento degli americani di vivere a spese delle elargizioni federali ha certamente contribuito. Così l’incapacità di fare della consultazione presidenziale un referendum sulla conduzione economica dell’Amministrazione Obama. Ed ancora, la sconcertante dimenticanza nel discorso di accettazione a Tampa delle forze combattenti impegnate in Afghanistan. O le accuse ai mezzi di comunicazione che spulciano la sua appartenenza al culto dei Mormoni. Tutte queste, ed altre, sono sfaccettature di una persona politica che non riesce a mettere a fuoco il quadro generale del confronto elettorale con Obama, con il risultato che per quanto Romney possa apparire a molti come un buon uomo d’affari, un modello di successo economico, possibilmente un buon leader e pertanto qualificato per la presidenza della nazione, come candidato politico lascia molto a desiderare. Un gran leader, ammettono gli stessi suoi simpatizzanti, ma non un buon politico.

Tra gli aspetti che lasciano perplessi gli addetti ai lavori è la caparbietà con cui Romney combatte Obama in ordine a temi ed episodi di importanza marginale. L’unico momento in cui Romney ha mirato ad un grosso bersaglio –quello della problematica finanziaria che definisce il dibattito sociale sulla ristrutturazione del welfare state– è stato quando ha scelto il deputato Paul Ryan, l’apostolo per l’appunto della ristrutturazione, come candidato vicepresidenziale.

Di fatto, le proposte avanzate in ordine alla Medicare, il programma di assistenza medica agli anziani, sono rimaste vaghe e conseguentemente invise alla maggioranza degli assistiti. Il loro voto potrebbe far pendere la Florida, uno stato cruciale nel Collegio Elettorale, dalla parte del Presidente democratico. Nè si può dire che Mitt Romney sia un riformista. Il candidato repubblicano non ha incentivo alcuno ad avviare riforme per il semplice fatto che egli è il maggiore beneficiario del presente sistema. Le sue proposte per il regime fiscale, la spesa pubblica ed il sistema di regulations consolidano la posizione di privilegio della classe ricca. In particolare, lasciano intatto un ordinamento di finanziamenti elettorali che permettono alle grandi corporations, ai sindacati ed a miliardari come i fratelli Koch di spendere cifre astronomiche per influenzare l’esito delle consultazioni elettorali.

Mitt Romney è una figura umana intrisa di privilegio. Il suo stile di vita ha ben poco in comune con quello della variegata massa che compone la società americana. Il suo ruolino di successi finanziari, che lo hanno reso multimilionario testimoniano grandi capacità analitiche, conoscenza dei mercati, integrità familiare e religiosa, ma il candidato difetta di quelle doti umane basate sull’improvvisazione e sulla comunicativa che la comunità normale esige da un presidente. Sotto questo aspetto Mitt è lungi dall’essere un’alternativa accettabile rispetto ad Obama. Per quanto Romney parli di una società basata sul merito e l’opportunità, un auspicio che può certamente essere condiviso da tutti gli americani, nella realtà delle cose la società che Romney esalta premia gli attori più tenaci ed aggressivi, per non dire spregiudicati, e trascura i deboli che sopravvivono grazie agli assegni della Social Security e al Medicare, i programmi assistenziali varati da Franklin Delano Roosevelt e Lyndon Johnson, espressioni di un socialismo che Romney ed i repubblicani disprezzano considerandolo una perversa invenzione europea.

Too rich to care, troppo ricco per curarsi dei meno fortunati, è il giudizio che ricorre spesso a proposito di Romney. È questo l’aspetto umano della campagna elettorale che rende Romney vulnerabile agli attacchi dei democratici. In un libro che esamina acutamente la politica dell’estremismo che sembra essersi impadronita dell’America, Thomas Mann e Norman Orstein segnalano come il partito repubblicano abbia abbandonato il centro della politica americana per abbracciare posizioni ideologicamente estreme con il rigetto dell’eredità di un regime sociale ed economico che per lungo tempo aveva contrassegnato la politica negli Stati Uniti. “Quando un partito si allontana in tale misura dal centro della politica americana – concludono i due autori -, risulta estremamente difficile instaurare misure che rispondano alle necessità più impellenti del Paese”.

Infine, gli americani che pagano le tasse non ignorano ormai che Mitt Romney ha costantemente pagato i suoi tributi in base ad aliquote preferenziali sui profitti di capitale e dividendi che sono obiettivamente sproporzionate rispetto a quelle della grande massa dei contribuenti. Anche questa è una dimensione umana che getta una luce sfavorevole sul candidato repubblicano e che porta acqua al molino di Obama quando questi propone di tassare maggiormente i redditi superiori ai 250.000 dollari. Ma c’è dell’altro. Quando Romney si sforza di parlare il linguaggio dell’americano medio, come quello dell’operaio di una catena di montaggio nell’Ohio, l’immagine che diffonde è di un politico out of touch con quello che si potrebbe definire il “popolino” americano. Romney è chiaramente a suo agio con pubblici ristretti, composti da dirigenti d’azienda, commercianti e mormoni.

E dire che di tempo Romney ne ha avuto per gettare discredito su Barack Obama e per drammatizzare il pesante quadro economico del suo quadriennio, agevolato dal fatto che il presidente Obama ha detto ben poco su quel che si propone di realizzare in un eventuale secondo quadriennio. Per contro, Obama ha avuto buon gioco nell’affibbiare a Romney la qualifica di “ingenuo” in materia di politica estera. In pratica, Romney ha permesso alle sue carenze come candidato di offuscare le debolezze del presidente democratico. Ma prima ancora di valutare se il presidente in carica meriti o meno di essere rieletto, una valutazione determinante quando sia in ballo la rielezione, questa volta il verdetto dell’elettorato è strettamente legato alla decisione se votare contro il candidato oppositore anche quando il presidente in carica non merita la rielezione. In ultima analisi, molti di quel sette per cento di indecisi voteranno in base ad un giudizio più umano che strettamente politico. Tutto lascia pensare che in questa ottica Obama la spunterà sul suo avversario repubblicano.

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