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All’indomani dell’elezione al Papato del primo gesuita, un latino americano, è appropriato, se non doveroso, ricordare cosa rappresentano i gesuiti nella storia dell’America Latina. E’ una storia meravigliosa e tragica al tempo stesso perchè l’ordine fu cacciato dal Paraguay nel 1768. L’elevazione del gesuita argentino Jorge Bergoglio al trono pontificio segna ora un ritorno trionfale della Compagnia di Gesù che tanto fece per evangelizzare ed affrancare le popolazioni indigene durante un secolo e mezzo. I resti di quell’opera appassionata e coraggiosa sono ancor oggi visibili nel Paraguay.
Nel silenzio dei ruderi della Santisima Trinidad, la più bella e celebrata missione gesuitica del Paraguay, ho sostato a lungo sotto i bassorilievi raffiguranti angeli che suonano il violino, l’arpa e altri strumenti musicali. Ad occhi chiusi, ho teso l’orecchio dell’immaginazione volta a carpire suoni celestiali emessi da un’orchestra di quegli indios Guaraní che dai gesuiti avevano appreso l’arte di costruire violini ed altri strumenti ad arco e persino organi, e di eseguire con maestria le melodie di ispirazione barocca, animate dal raffinato contrappunto.
In un altro emisfero, quelle note sarebbero salite al cielo dalla Basilica di San Marco, testimone della irrefrenabile creatività di un Antonio Vivaldi. Un miracolo musicale faceva sì che in questa Reduccion gesuitica di Trinidad, echeggiassero le note di un altro italiano, Padre Domenico Zipoli, contemporaneo del Prete Rosso.Il cursore diretto sulle immagini visualizzerà le didascalie; cliccare sulle stesse per ingrandire.
Il compositore gesuita era nato a Prato ed aveva lavorato a lungo come organista a Roma. Quando i gesuiti gli parlarono della loro opera nell’impenetrabile Paraguay, non esitò ad entrare nella Compagnia di Gesù e a mettere mano a molte composizioni per il nuovo mondo durante i suoi studi teologici a Cordoba. Una volta giunto nel Paraguay, continuò a comporre e diresse le orchestre dei Guaraní. Gli indigeni lo amavano al punto di voler eseguire soltanto le sue composizioni. Padre Zipoli morì nel 1726. Il sistema di vita e di governo instaurato dai Gesuiti durò fino al 1768, anno in cui vennero espulsi dall’impero spagnolo, vittime di calunnie e di macchinazioni volte a ricondurre gli indios sotto il giogo schiavista.
Gli spartiti di Zipoli andarono dispersi, ma una sorte felice portò alla scoperta di uno spartito della sua celebre Misa a Potosi, nella Bolivia, parte della provincia del Paraguay. Ben presto, sempre nella Bolivia, vennero alla luce altri spartiti di Zipoli, destinati alle esecuzioni di violini, trombe, arpe, cornette, organi e chirimias, un oboe di canna. Così, la musica dell’Hermano Zipoli rivive oggi grazie a concerti e incisioni nel mondo ispanico, in Europa e negli Stati Uniti.I primi missionari che sbarcarono nel continente americano, non erano Gesuiti. La Compañia de Jesús fu fondata nel 1534 e sin dagli inizi fu un ordine missionario. Prima di morire nel 1556, Ignacio de Loyola mandò i suoi missionari in India, Giappone, Congo e Brasile. La prima “reduccion” gesuitica sorse sulle sponde del Rio Tebicuary, ad oriente dell’attuale Asuncion, alla fine del 1609. La fondò Padre Marcialo de Lorenzana ed ebbe il nome di San Ignacio Guazú. Un anno dopo, un’altra Reduccion veniva fondata sul Rio Paranepanema poco distante dalla confluenza con il poderoso Rio Paraná. Furono due gesuiti italiani a creare la missione, i Padri Jose Cataldino e Simon Maceta e la chiamarono con il nome della Madonna di Loreto, venerata nel mondo ispanico. La missione venne attaccata e demolita dai bandeirantes, le bande di delinquenti brasiliani alla ricerca di indios da catturare per le piantagioni del Brasile. La popolazione della missione trovò rifugio più a sud in una zona che è oggi provincia argentina.
La storia delle missioni gesuitiche del Paraguay è disseminata di tragici esodi da una sede all’altra per sfuggire alle razzie dei paulistas brasiliani. Al momento del loro massimo splendore esistevano trenta Reduccion, un numero che ha generato l’appellativo di Treinta Pueblos.
Le missioni nel Paraguay esigevano virtù e qualità umane eccezionali, oltre che una buona salute. Lo spirito di adattamento comprendeva anche il talento linguistico in quanto i missionari dovevano comunicare nella lingua guaraní. In totale, furono 1.565 i gesuiti che diedero vita ad una società che rappresenta un capitolo straordinario nella storia dell’umanità.Molti di loro, tra i quali Roque Gonzales de Santa Cruz, fondatore di varie Reducciones, conobbero il martirio. Roque Gonzales e due altri compagni nel martirio, Alonso Rodriguez e Juan del Castillo, sono stati canonizzati da Papa Giovanni Paolo II ad Asuncion nel 1988. Il Paraguay era divenuto ben presto il terreno più impegnativo dell’internazionalismo missionario dei gesuiti, provenienti da molti Paesi europei ma in parte nati, come Roque Gonzales, nelle colonie spagnole. Roque abbracciò con una grande carica di fede la sua missione presso gli indigeni e fu il primo gesuita ad entrare nella sterminata regione desertica del Chaco. Come tutti i padri gesuiti, fu un “conquistador sin espada”.
Il centro di ogni missione era naturalmente costituito dalla chiesa nella Plaza Mayor. A lato della chiesa era situato il colegio, che era destinato all’istruzione religiosa ma anche laica, nonchè a residenza dei padri gesuiti ed a spazi comuni. Le case degli indios rappresentavano un’evoluzione rispetto alle capanne orginarie nell’intento di consolidare la famiglia “monogama”. La lotta contro la poligamia era infatti uno dei capisaldi dell’azione sociale dei gesuiti. I capi o caciques vivevano con le loro famiglie nei padiglioni residenziali a tetti spioventi e avevano il diritto di essere sepolti nella chiesa o ai suoi lati. La vita socio-economica delle Reducciones è stata costantemente associata ad una forma di socialismo o persino al comunismo.
È una descrizione che prende le mosse dal fatto che gli indios non avevano alcun concetto della proprietà privata. Tutta la proprietà era collettiva con l’unica eccezione dell’orto – la huertezuela – riservato ad una famiglia. Le coltivazioni e la gestione del bestiame erano svolte in comune; due volte alla settimana i maschi adulti partecipavano alle attività agricole comuni. Il loro lavoro era allietato dalla musica. La domenica, l’intera poblacion ascoltava la Misa Mayor, una messa cantata, assiepandosi nella chiesa.Le capacità dei Guaraní erano fonte di incessante stupore per i missionari europei. La grande abilità nel tiro all’arco faceva degli indios cacciatori eccezionali. Ed ancora, gli indios praticavano un gioco antesignano del calcio moderno, colpendo con i piedi scalzi una palla di gomma naturale e indirizzandola con precisione. Nel 1611, quando l’analfabetismo era ampiamente diffuso in Europa, le prime scuole gesuitiche aprivano le porte insegnando a leggere e scrivere la lingua guaraní. La musica e il canto rivestivano uno speciale valore nella formazione educativa degli indios.
Lo Stato Gesuita dei Guaraní è da secoli un tema affascinante pur in presenza di molti aspetti controversi. Voltaire considerò le Reducciones “un trionfo dell’umanità”. Un discepolo di Marx, Paul Lafargue, non esitò a definirle “il primo stato socialista di tutti i secoli”. I liberi pensatori del mondo non potevano che considerarle come una rivalsa umanitaria dopo le tante crudeltà inflitte dai primi Conquistadores.
All’interno di una colonia spagnola oggetto di una spietata contesa tra spagnoli e portoghesi, le Reducciones costituirono un’alternativa utopistica, circoscritta alla interpretazione gesuitica del cristianesimo. Storicamente, erano la reazione al disumano sistema delle encomendias spagnole che in pratica regolavano lo schiavismo delle popolazioni indigene. Il regime sociale e religioso dei gesuiti aveva dischiuso un’era di prosperità per i Guaraní che a lungo andare non poteva essere tollerato nè dalla corona spagnola nè dai portoghesi.
Con la tacita complicità della Chiesa di Roma, infatti, i Gesuiti furono sommariamente espulsi dal Paraguay nel Maggio del 1768. I gesuiti obbedirono e le Reducciones caddero senza difendersi. Un poco per volta, i Guaraní le abbandonarono e si dispersero nella giungla e nelle praterie. Templi, case, scuole, cappelle e torri campanarie, esposti al logorio del tempo e alle scorribande dei bandeirantes, caddero in rovina.L’assolutismo del diciottesimo secolo giustificò la rapida distruzione delle missioni come un’azione necessaria ad eliminare la “cospirazione gesuitica” sospettata di voler creare uno stato indipendente nella selva sud-americana. Se i gesuiti ebbero una colpa, fu quella di aver dato vita ad un sistema di governo paternalistico, o fors’anche protezionista, ma non vi è dubbio alcuno che i Guaraní lo accettarono e ne trassero pieno giovamento.
Le rovine di Trinidad e Jesús, dichiarate “patrimonio mondiale dell’umanità” dall’UNESCO, testimoniano quanto fu felice quella parentesi storica, relativamente breve, che affrancò le popolazioni indigene e soprattutto permise alla loro lingua di sopravvivere, tanto che il guaraní è oggi una delle due lingue ufficiali e correntemente parlate nel Paraguay. Le rovine color rosso-ocra della Santisima Trinidad si stagliano contro il cielo di un celeste paradisiaco. La magnificenza tronca dell’opera architettonica di un architetto gesuita milanese, Gian Battista Primoli, è esaltata dalla solitudine mistica del luogo. Mi sono trovato ad essere il solo visitatore, preso quasi dallo sgomento di ricreare nella mia mente un’immagine della vita pulsante e operosa della Reduccion, popolata da più di tremila anime.
Il visitatore proteso a raffigurarsi la vita di una missione è animato dalla fede di un pellegrino piuttosto che dalla curiosità del turista. La macchina fotografica e il videoregistratore non potranno mai catturare l’emozione del pellegrino dinanzi ai resti di un’inusitata meravigliosa civiltà sperduta nel tempo e in un vasto territorio.
San Ignacio Guazú, Santa Maria de Fe, Santa Rosa, Santiago, San Cosme y Damián e Itapúa completano e arricchiscono il pellegrinaggio iniziato a Trinidad e Jesús de Tavarangüe. Le sculture lignee policrome e gli stupendi retablo di San Ignacio Guazú sono espressioni purissime di un’arte guaraní evoluta e tale da classificare la scultura indigena come un capitolo senza pari nella storia dell’arte. Statue del Cristo e della Madonna, di santi e martiri, di personaggi della Compagnia di Gesù sono fortunatamente sopravvissute alle razzie, al vandalismo, e alle distruzioni della guerra tra il Paraguay e la Triplice Alleanza, che sterminò in massa uomini e adolescenti paraguayani.
Al pari delle rovine delle missioni, non solo le gesuitiche ma anche quelle francescane, gli altari e le statue scolpite dai Guaraní sono un mirabile patrimonio dell’umanità. L’epopea di quella che è stata definita “l’Arcadia Scomparsa” è strettamente legata ai 160 anni di esistenza della “República jesuítica-guaranítica”, una definizione storica certamente valida. Alle fine, i gesuiti, e con loro i Guaraní, furono sconfitti. Le loro costruzioni, sociali, architettoniche e artistiche, come quella politica, furono sommerse dalla foresta, dalla decadenza e dal triste destino del Paraguay. Ma per chi abbia la fortuna di arrivare fino a Trinidad, Jesús, e San Cosme y San Damián, vivono oggi in tutto il loro splendore.